venerdì 16 maggio 2008

La nostra Gomorra

Ricordo di aver sentito parlare per la prima volta di Gomorra, sorprendente debutto editoriale di Roberto Saviano, nella primavera del 2006, durante un incontro con lo scrittore Diego De Silva in un cinema napoletano. Qui partecipai, nell'ambito di un laboratorio di critica cinematografica, alla proiezione del bel film Certi bambini, per poi iniziare una discussione sulla camorra. Fu allora che De Silva citò il libro di Saviano, e da allora non ne dimenticai più il titolo, soprattutto dal momento in cui si cominciò a parlare delle minacce dei clan dei casalesi ai danni del giovane scrittore napoletano, e dopo che gli fu assegnata addirittura la scorta armata. Da non crederci. Decisi così di acquistare il libro, e mai acquisto si rivelò essere più azzeccato. Una volta terminata l'atroce lettura, capii di aver letto un capolavoro, o meglio il capolavoro della mia generazione. Ora che è uscito nelle sale anche il film Gomorra di Matteo Garrone, le parole di Roberto Saviano a proposito di un certo tipo di letteratura (e di cinema, aggiungerei io), pronunciate durante un incontro pubblico a Ferrara con il giornalista americano William Langewiesche, assumono un significato ancor più importante:
...questo tipo di scrittura, questo tipo di sguardo, questo dare una cittadinanza universale a problemi che non sembrano averla, è il pericolo più enorme che può generare la parola. Non per niente spesso chi arriva a fare queste cose poi non può più essere fermato se non con la morte. Perchè una parola così come la fermi? Tu puoi bloccare una notizia, ma non puoi bloccare tutti gli occhi, le labbra, le lingue che iniziano a considerare proprie quelle parole, a farle proprie... Come le fermi? E' impensabile.
Roberto Saviano si riferisce qui alla scrittura, allo sguardo e alla parola della grande Anna Politkovskaja. Una donna, una giornalista, e un esempio per noi tutti.

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