A cosa serve la musica? A Negar e ad Ashkan, due giovani fidanzati iraniani con la passione per l’indie rock, servirà a partire per l’Europa, destinazione Londra, con il sogno di potersi esibire davanti a un pubblico pronto ad applaudirli. In Iran sarebbe praticamente impossibile visto che la musica occidentale è legalmente bandita. I due attori (Negar Shaghaghi e Ashkan Koshanejad) – che interpretano loro stessi nel film I gatti persiani diretto dal regista iraniano Bahman Ghobadi – chiedono aiuto a Nader (Hamed Behdad), un giovane tuttofare che cercherà di procurargli dei passaporti falsi, e intanto gli farà anche un po’ da manager.
Negar e Ashkan fanno coppia fissa, lei alla voce e lui alle tastiere, nel tentativo di formare nel più breve tempo possibile un gruppetto per l’esibizione a Londra. Ma tutto gli remerà contro: anche solo per fare le prove, infatti, i ragazzi sono costretti a nascondersi ai controlli della polizia, in una stalla oppure in uno scantinato, per evitare di essere scoperti e quindi arrestati. Basta sgarrare nei testi delle proprie canzoni per assicurarsi ben tre anni di carcere: questa è la prassi a Teheran.
Il regista entra in punta di piedi nelle vicende di Negar e Ashkan per testimoniare la realtà della musica underground di stanza in Iran. Qui senza autorizzazioni non potresti girare nemmeno un fotogramma, ma Ghobadi ci è riuscito in sole tre settimane, con una piccola troupe, una sceneggiatura non ben definita e due arresti alle spalle che han fatto perdere due giorni di lavoro. Il film, a metà strada tra documentario e opera di finzione, mostra chiaramente le difficoltà fisiche e morali che i due giovani subiscono per poter suonare la loro musica.
La colonna sonora impreziosisce le immagini di una Teheran tanto bella quanto crudele verso la propria gioventù costretta a vivere in patria come gatti persiani: rinchiusi in casa, senza libertà e in cerca di un nascondiglio dove poter ancora una volta dare ritmo ai propri sogni. A cosa serve la musica, allora? A sentirsi giovani in un paese senza futuro.
Negar e Ashkan fanno coppia fissa, lei alla voce e lui alle tastiere, nel tentativo di formare nel più breve tempo possibile un gruppetto per l’esibizione a Londra. Ma tutto gli remerà contro: anche solo per fare le prove, infatti, i ragazzi sono costretti a nascondersi ai controlli della polizia, in una stalla oppure in uno scantinato, per evitare di essere scoperti e quindi arrestati. Basta sgarrare nei testi delle proprie canzoni per assicurarsi ben tre anni di carcere: questa è la prassi a Teheran.
Il regista entra in punta di piedi nelle vicende di Negar e Ashkan per testimoniare la realtà della musica underground di stanza in Iran. Qui senza autorizzazioni non potresti girare nemmeno un fotogramma, ma Ghobadi ci è riuscito in sole tre settimane, con una piccola troupe, una sceneggiatura non ben definita e due arresti alle spalle che han fatto perdere due giorni di lavoro. Il film, a metà strada tra documentario e opera di finzione, mostra chiaramente le difficoltà fisiche e morali che i due giovani subiscono per poter suonare la loro musica.
La colonna sonora impreziosisce le immagini di una Teheran tanto bella quanto crudele verso la propria gioventù costretta a vivere in patria come gatti persiani: rinchiusi in casa, senza libertà e in cerca di un nascondiglio dove poter ancora una volta dare ritmo ai propri sogni. A cosa serve la musica, allora? A sentirsi giovani in un paese senza futuro.
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