domenica 30 marzo 2008

venerdì 28 marzo 2008

Ospite in tv

Ieri sera ho partecipato, per la prima volta nella mia vita, ad una trasmissione televisiva: per la precisione ad Annozero di Michele Santoro. E' stata una bella esperienza, anche solo per capire i meccanismi sottesi alla produzione di un programma tv. Le luci rosse delle telecamere in studio ad indicare al conduttore dove guardare di volta in volta; i gesti dei tecnici a Santoro per avvertirlo dell'imminente pubblicità da lanciare o di un'eventuale telefonata di un politico in studio (ieri è avvenuto con la Prestigiacomo). Anche se la trasmissione non è stata particolarmente entusiasmante - si parlava di case popolari - l'occasione è stata delle più ghiotte, e si ripeterà per me anche lunedì prossimo, in un'altra puntata di Annozero. Ieri sera in studio c'erano Daniela Santanchè e Fausto Bertinotti, e come al solito, in quanto politici italiani, non hanno fatto (a mio parere) una gran bella figura. Per un motivo molto semplice: ogni loro parola è stata pronunciata per meri fini propagandistici - lo so che siamo in campagna elettorale - e quindi inadeguata ad informare come si deve i cittadini. Ecco perchè continuo a pensare che i politici dovrebbero essere banditi da quelle trasmissioni che aspirano a dire un pizzico di verità sull'effettiva realtà dei fatti. Invitate invece giornalisti, intellettuali, insomma persone competenti che non avrebbero nessun conflitto d'interessi (per esempio le imminenti elezioni politiche) per nascondere tutta la verità, nient'altro che la verità. Che continuino, i politici, a scannarsi nelle aule parlamentari (e da Bruno Vespa). Nessuno glielo lo vieta.

mercoledì 26 marzo 2008

Ricomincio da ROMA

Dopo più di una settimana trascorsa a Salerno per le vacanze pasquali, tra rimpatriate con vecchi amici e scorpacciate cinefile all'insegna della terza (e soprendente) serie di Lost, sono di nuovo qui a Roma per seguire le lezioni del secondo semestre e continuare la vita da studente fuori sede. Dove ci eravamo lasciati? O meglio, da dove ricominciamo la nostra avventura in questa Land of Hope and Dreams virtuale? Ci penserò giorno per giorno, come sempre, nell'attesa che la campagna elettorale made in Italy finisca al più presto, e nella speranza che le promesse che i nostri politicanti strombazzano ai quattro venti non restino, come al solito, promesse (anche se per lo più improbabili). Cercasi Operazione Verità.

domenica 23 marzo 2008

La Poesia della Vita

di Mina
Naturalmente nessuno se ne è accorto. Si può anche capire. Con questi chiari di luna a chi vuoi che interessi la Giornata mondiale della Poesia? Sì, era proprio ieri l’altro, il 21 marzo. Per essere molto, ma molto buoni si può dire che la coincidenza con il Venerdì Santo ha oscurato la poesia. È brutto da scrivere, da leggere e poi, magari, non è neppure la verità. No, no, è che spazio per la poesia sembra che non ce ne sia. Eppure Neruda diceva: «La poesia è un atto di pace. La pace costituisce il poeta come la farina il pane». E ce ne vorrebbe molta di quella farina. Ma facciamocene una ragione. Cara grazia se si leggono le pagine sportive per vedere i commenti sul risultato della squadra del cuore, figurati le poesie... e poi «non sono cose da uomo». Questa l’ho sentita io con le mie orecchie... come se parlassero di un paio di scarpe coi tacchi a spillo. Ma la poesia, prima di essere verso, metrica, rima, è vita. Basta alzare gli occhi e guardare intorno. Quello sguardo allungato della madre come a proteggere il bambino che sta correndo è poesia. La borsa sdrucita dalla quale esce un sedano che l’anziana signora ha comprato per dare un po’ di sapore alla minestra che preparerà per il suo uomo è poesia. Due figure strette, stagliate contro il tramonto sulla spiaggia sono poesia. La lunghissima treccia di mia figlia è poesia. Il sorriso che riesci a tirar fuori dopo un pianto dirotto è poesia. L’attesa è poesia. Riconoscere che siamo tutti la stessa persona è poesia. Le foto che seguono la crescita dei miei bambini sono poesia. L’amico che non senti più, ma che culli nella memoria è poesia. Quella volta che il papà andando in macchina ha detto «Ecco, bambini, adesso la strada precipita a valle» e noi ci siamo messi a urlare dal terrore di sfracellarci è poesia. Il ricordo è poesia. L’uomo carico di anni, ma mai vecchio, che cammina fiero col bastone per mano sinistra dopo la rottura del femore è poesia. La dolcezza è poesia. La montagna vista da lontano è poesia. Gli occhi che si chiudono dal sonno sono poesia. Puccini è poesia. Gadda è poesia. I rari rumori della notte sono poesia. La finestra che adesso apro per andare in terrazza a guardare il lago è poesia. Insomma la poesia è dappertutto, ma sarà vero che solo pochi la vedono? Io non ci voglio credere. Anche la persona più fredda e disincantata, più malvagia e sgradevole, più perversa e scellerata in un angolino del suo animo deve avere un ricordo, un rimpianto.
E il rimpianto è già poesia.

sabato 15 marzo 2008

Il mestiere di scrittore

Io non entrerò in politica. Il mio mestiere è quello di scrittore. E fin quando riuscirò a scrivere, continuerò a considerare questo lo strumento di impegno più forte che possiedo. Racconto il potere, ma non riuscirei a gestirlo. Non si tratta di rinunciare ad assumersi la propria responsabilità, ma considerarla parte del proprio lavoro. Tentare di impedire che il chiasso delle polemiche distolga l'attenzione verso problemi che meno fanno rumore, più fanno danno. O che le disquisizioni morali coprano le scelte concrete a cui sono chiamati tutti i partiti. È questo il compito che a mio avviso resta nelle mani di un intellettuale. Credo sia giunto il momento di non permettere più che un voto sia comprabile con pochi spiccioli. Che futuri ministri, assessori, sindaci, consiglieri comunali possano ottenere consenso promettendo qualche misero favore. Forse è arrivato il momento di non accontentarci.

There will be blood


I primi minuti de Il Petroliere con Daniel Day-Lewis, per la regia di Paul Thomas Anderson, sono da antologia del cinema. Immagini dure, sullo sfondo di un arido New Mexico sul finire dell’800, dove l’unica cosa di valore sembra sgorgare dal sottosuolo (come nel caso del petrolio che farà la fortuna del protagonista). E la forza fisica con la quale Daniel Plainview cercherà quest’oro nero (resa alla perfezione da un ottimo Daniel Day-Lewis), in aggiunta alle prime sequenze quasi del tutto mute che lo ritraggono intento a scavare nelle profondità della terra, rappresentano il maggior pregio della pellicola. Una pellicola che ci narra in 158 minuti la parabola violenta e senza scrupoli di un uomo che ricavò le sue fortune dal petrolio, cercandolo fino in California, dove i suoi pozzi contribuirono allo sviluppo di una piccola comunità, molto religiosa, a Little Boston. Ecco dunque delinearsi le due visioni – una dedita alla massimizzazione del profitto, rappresentata dal petroliere, e l’altra pervasa da una profonda fede, impersonata dal pastore – che fanno de Il Petroliere una battaglia psicologica tra due caratteri tanto diversi quanto pervasi dalla stessa mania di grandezza, che li porterà insieme ad una fine ingloriosa. Un grande attore (Daniel Day-Lewis), e una grande interpretazione (a volte un po’ sopra le righe), per un film, forse un po’ troppo lungo, non altrettanto all’altezza. Un capolavoro mancato.

giovedì 13 marzo 2008

Alla ricerca dei "CLASSICI" perduti

Ho appena finito Americana di Don DeLillo, uno dei più brutti libri mai letti. Devo dire, per dovere di cronaca, di essere uno di quei lettori che pur di non lasciare a metà un romanzo o un saggio, anche se non particolarmente meritevole, decide comunque di proseguire nella lettura, nella speranza che il finale mi riservi magari qualche piacevole sorpresa. Ma questa volta non c'è stato proprio niente da fare: dalla prima all'ultima pagina pochi sono stati gli spunti di Americana che mi hanno davvero attratto. Così, pensando alle mie ultime letture - prevalentemente romanzi di fine novecento o saggi da poco pubblicati - sono arrivato ad una decisione: da oggi in poi, per la maggior parte, dovrò cominciare a leggere tutti quei classici che finora non ho ancora letto, troppo preso dalle più recenti novità editoriali (che non guastano mai, beninteso). Come mi è venuta questa voglia? Mi è bastato fare un bel giro in libreria, tra gli scaffali dei classici appunto, per capire quanto siano formative le opere di un Leopardi (Operette morali, Zibaldone), di un Calvino (Lezioni americane), di un Tolstoj (Guerra e pace), di un Dostoevskij (Delitto e castigo), di uno Sciascia (A ciascuno il suo), di un Pavese (Il mestiere di vivere), di un Carver (Da dove sto chiamando). Insomma, per farla breve, ne avrò di cose da leggere nei prossimi tempi.

Altro che meritocrazia!

Si fa un gran parlare, in questi giorni, delle rispettive candidature che i due maggiori partiti italiani - Pd e Pdl - hanno scelto per presentarsi alle prossime elezioni politiche. A destra fa scalpore la presenza nelle liste del fascista Ciarrapico, a sinistra invece dell'industriale Calearo. Ormai, come si sente sempre più spesso dire nei due schieramenti politici contrapposti, i programmi sembrano quasi gli stessi - e questo non è del tutto negativo - mentre i candidati al Parlamento ci appaiono come delle scelte per lo più simboliche. Altro che meritocrazia! Non mi sembra si rivendichino le proprie candidature per meriti particolari, bensì per ciò che un Ciarrapico, un Calearo o un Matteo Colaninno di turno rappresentano. E questa impressione diviene ancor più forte a sentire Bertinotti (anche lui candidato premier) attaccare il Partito democratico per aver scelto esponenti dell'imprenditoria anzichè del mondo operaio, come se queste sterili divisioni ideologiche potessero far davvero rialzare l'Italia. Ma alla fine, a pensarci bene, le candidature di alcune personalità piuttosto che di altre servono in primis a racimolare voti. E che importa se ognuno di questi voti verrà dato senza la minima consapevolezza, senza chiedersi perchè un Ciarrapico, un Calearo o un Colaninno meritino di approdare in Parlamento? Basta che portino più voti possibile. E' questo che importa, giusto?

mercoledì 12 marzo 2008

Boomerang Kids: “bamboccioni” made in USA

E chi l’ha detto che i bamboccioni, secondo un’infelice definizione del ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, esistono solo in Italia? Anche negli Stati Uniti, infatti, è in espansione il fenomeno dei giovani americani che non riescono a staccarsi dal nido materno. Così, negli Usa, capita sempre più spesso che questi “boomerang kids”, ragazzi boomerang, una volta finito il college tornino di corsa tra le braccia di mamma e papà. Di chi è la colpa? Sicuramente degli affitti in crescita, che impedirebbero ad un giovane neolaureato di mantenersi da solo con il suo primo stipendio, ma anche dei non pochi debiti contratti per pagarsi gli studi. Alla fine dei conti, secondo le stime dell’American sociological association, solo il 46% (tra le donne) e il 31% (tra gli uomini) dei giovani americani ha raggiunto l’indipendenza economica dopo essersi laureato, sposato e aver fatto anche dei figli. Come porre rimedio a questo effetto boomerang?

Riscossa cinese nella classifica MBA

Grande riscossa delle università cinesi. Ne è un esempio lampante la consueta classifica delle migliori Business School al mondo che il Financial Times redige ogni anno. Al primo posto, nemmeno a dirlo, c’è la Wharton School dell’Università della Pennsylvania, mentre in seconda posizione c’è l’altrettanto prestigiosa London Business School. Ma a sorprendere di più, come ha notato Federico Rampini sul suo blog “Estremo Occidente”, è la scalata al vertice che pian piano sta facendo salire di rango le istituzioni accademiche cinesi. Ad esempio, la Business School di Shanghai (Ceibs) si ritrova all’11esimo posto, e la Hong Kong UST Business School al 17esimo. Neanche l’India se la passa male, con la sua Indian School of Business salda al 20esimo posto. E per l’Italia, invece? Amara consolazione è vedere la nostra SDA Bocconi solo in 48esima posizione, unica italiana tra le prime cento Business School al mondo.

lunedì 10 marzo 2008

Occhio alle promesse elettorali

Sono proprio contento che gli elettori spagnoli abbiano riconfermato Zapatero alla guida politica della Spagna. Non perchè nutra un particolare astio verso i popolari di Rajoy, bensì per altre ragioni molto più pratiche, che riguardano il popolo innanzitutto. Quando nel 2004, dopo gli attentati terroristici di matrice islamica a Madrid, i socialisti riuscirono a vincere inaspettatamente le elezioni contro il popolare Aznar, capimmo da subito che la vittoria di Zapatero era dovuta più ai demeriti del premier uscente (Aznar, appunto) che a particolari virtù della compagine socialista. Ma ora, dopo 4 anni di governo, è bello rendersi conto che la popolazione spagnola - come avrebbe fatto qualsiasi altra, credo - ha deciso di rinnovare la fiducia al proprio premier per una semplice ragione: Zapatero ha mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale. Via dall'Iraq. Aiuto ai giovani precari. Più spazio alle donne, soprattutto in politica. Matrimonio permesso anche agli omosessuali. Divorzi più veloci. Come dire: mantenere le promesse, in politica, paga sempre. L'avranno capito, una buona volta, anche i nostri Berlusconi e Veltroni? Staremo a vedere.

venerdì 7 marzo 2008

I segreti di Roma, di Corrado Augias

Roma, almeno in parte, è ancora lì, basta saperla guardare”, ha scritto Corrado Augias nel libro “I segreti di Roma”. E spetta a noi lettori, da turisti per le strade della capitale, scoprirla con fare curioso, nella speranza di respirare, anche solo per un attimo, l’atmosfera che ha contraddistinto nel corso dei secoli la travagliata esistenza della città lambita dal Tevere. “La Roma arcaica dei tempi di Romolo e la Roma sparita di fine ottocento sono state entrambe risucchiate dal gorgo e dalla polvere della storia”, per cui, scrive Augias, “se dovessi indicare per la capitale un solo connotato punterei proprio su questo: la compresenza di tante città incastrate una dentro l’altra, sovrapposte in tre, quattro, cinque strati pronti a svelarsi appena si abbia voglia di guardare oltre la rumorosa corteccia del presente”. Ecco così rivelarsi agli occhi del lettore il segreto della bellezza della città eterna, quello di far convivere i resti di epoche diverse come testimonianza indelebile del tempo che passa. Segreti che a distanza di secoli lasciano ancora inviolato quel velo di mistero che affascina non poco i visitatori della città. Basti pensare, ad esempio, alla leggenda della lupa che allattò i fratelli Remo e Romolo (quest’ultimo, fondatore e primo re di Roma), che in realtà, secondo lo storico latino Tito Livio, si trattava non di un animale bensì di “una certa Larenzia chiamata lupa, cioè prostituta”. Così, “quando i gerarchi fascisti pensarono di chiamare figli della lupa i bambini inquadrati nelle organizzazioni giovanili del partito”, scrive ironico Corrado Augias, “non si resero conto, ignari della storia, dell’involontaria comicità di una simile denominazione”. Sfogliando le pagine de “I segreti di Roma”, le sorprese e le rivelazioni non mancano, ma particolarmente interessanti sono alcuni aneddoti e le riflessioni appassionate di Augias che, da bambino, trascorse gli anni della spensieratezza in quel di Roma. Tra gli aneddoti, l’autore rievoca lo sbarco degli alleati nella capitale, quando un soldato americano, attraversando in jeep piazza del Colosseo, esclamò: “Mio Dio, abbiamo bombardato anche questo!”. Questa storia circolò spesso dopo la fine della guerra, ma forse si trattava solo di una storia. Leggendo il bel libro di Augias, si nota il forte legame dello scrittore con l’oggetto di cui scrive, ancor più evidente quando ci fa una confessione. “Talvolta mi sorprendo a pensare”, scrive l’autore, “quale destino Roma avrebbe potuto avere se, nel corso di altri secoli, per esempio tra il XV e il XVI, si fosse riusciti a farla diventare il centro di un regno sottraendola al dominio pontificio per trasformarla in una vera capitale moderna”. E a tal proposito, a dimostrazione dell’influenza della Chiesa sulla città, viene alla mente un pensiero di Nikolaj Gogol: “la maestosa cupola di San Pietro che ingigantisce quanto più ci si allontana, per restare infine sovranamente sola su tutto quell’arco d’orizzonte, quando ormai l’intera città è scomparsa”. E quale miglior simbolo, della cupola di San Pietro, per ricordarci dell’influenza pontificia su Roma?

giovedì 6 marzo 2008

Al buio di una sala...

Ci sono film, secondo me, che bisognerebbe vedere da soli al cinema. Per il semplice motivo che richiedono una concentrazione particolare, che magari in altre pellicole, come quelle più d'intrattenimento, non è necessaria. Ne è un esempio, tra i vari che mi son capitati nel corso delle magnifiche ore spese al buio di una sala cinematografica, il film La famiglia Savage, con Philip Seymour Hoffman e Laura Linney, per la regia della brava Tamara Jenkins. Questi film, che amo tanto andare a vedere rigorosamente da solo, mi permettono di aprire meglio gli occhi su aspetti della vita sui quali difficilmente avrei puntato la mia attenzione, spesso invischiato nel vortice degli impegni universitari che a tratti sembrano non finire mai. Le immagini ti riempiono la vista, i dialoghi ti parlano come ad un buon amico e le emozioni ti entrano fin dentro il cuore lasciandoti alla fine della proiezione, quando le luci della sala si accendono pian piano facendoti riemergere di nuovo nella vita reale, con un senso di frustrazione mista a gioia. E' il cinema, bellezza!

mercoledì 5 marzo 2008

Il nuovo che (non) avanza

Ora Marco Pannella minaccia anche di fare lo sciopero della sete. Perchè? Perchè dei 9 candidati radicali certi di essere eletti, almeno secondo l'accordo raggiunto qualche giorno fa tra Veltroni e la Bonino, solo 6 alla fine riusciranno a varcare le soglie del nuovo Parlamento. Ed ecco così scatenarsi la furia pre-elettorale dei radicali contro la promessa non mantenuta, contro l'accordo non rispettato. E allora mi vien da pensare che poi tanto nuovo, questo Partito democratico, non lo sia affatto. Perchè se già oggi siamo costretti a sorbirci le sparate a zero degli alleati veltroniani - oggi i radicali, domani gli uomini di Di Pietro? - allora cosa succederà in un eventuale governo presieduto dall'ex sindaco di Roma? Dovremo assistere magari alle solite convulsioni interne che per un anno e mezzo hanno terremotato la fantomatica Unione di Prodi? Non sarebbe stato meglio, allora, anche a costo di perdere - come molto probabilmente succederà lo stesso -, presentarsi veramente da soli e non in una mini-ammucchiata (sicuramente, lo so, non paragonabile a quella prodiana del 2006)?

Votare o non votare...#2

Nel post di ieri, per una mia grave dimenticanza, ho scritto di essermi indignato riguardo la scelta veltroniana di candidare al Senato in Campania (addirittura come capolista) Marco Follini, senza pensare che dai miei 22 anni (quasi 23, a dire la verità) non mi sarà permesso di scegliere i futuri senatori della Repubblica. Lo dice la nostra Costituzione all'articolo 58. Quindi, per un verso, il problema di votare (indirettamente) per Follini, almeno per me, non si pone più, ma la mia indignazione, e l'interrogativo che mi ponevo ieri, per la scelta politica in questione resta la stessa. Ma stiamo scherzando?

martedì 4 marzo 2008

Votare o non votare...

Le liste chiuse (ma forse sarebbe più esplicativo dire bloccate) del Partito democratico per la Camera e il Senato, in vista delle prossime elezioni politiche, sono state già presentate. E per quanto mi riguarda, da cittadino residente in quel di Salerno, dunque in Campania, se decidessi di votare per il Partito democratico by Veltroni lo sapete per chi (indirettamente) voterei, almeno al Senato? Niente di meno che per l'indimenticato Marco Follini, sostenitore, durante il governo Berlusconi 2001-2006, delle peggiori aberrazioni legislative che la Casa delle Libertà riuscì a partorire in cinque anni al potere (vedi leggi ad personam). Ora, ditemi un po' voi: ma con quale faccia potrei scegliere di votare il Pd al Senato della Repubblica, sapendo che come capolista (e quindi sicuramente eletto) ci sarà l'ex vicepresidente del Consiglio nel governo Berlusconi, ora nominato da Veltroni addirittura Responsabile nazionale per le Politiche dell'Informazione del Partito democratico? Ma stiamo scherzando?

lunedì 3 marzo 2008

Il sogno di una cosa

Domani, 4 marzo 2008, la campagna elettorale per le primarie democratiche negli Stati Uniti, che vede fronteggiarsi Hillary Clinton e Barack Obama, potrebbe concludersi definitivamente ma anche no. Spetterà agli elettori del Texas e dell'Ohio dare l'ultima spinta verso la nomination presidenziale a Barack Obama oppure riaccendere le speranze della sempre meno agguerrita Hillary Clinton, forse ormai consapevole della (quasi) vittoria del suo giovane rivale afro-americano e senatore dell'Illinois. Mai sottovalutare però i propri avversari, e questo vale a maggior ragione per Hillary.
Dall'inizio, con la sua discesa in campo (democratico) per la corsa alla presidenza statunitense, ho parteggiato per Barack Obama. Non so spiegarmi il perchè, ma da subito ho sentito una comunanza di ideali, che nel caso del giovane senatore di Chicago hanno lasciato ampio spazio ai sogni e alle utopie di una nuova generazione (forse per troppo tempo disillusa dalla visione ultraconservatrice di Bush jr. & Co.).
Sono stati poi anche i suoi magnifici discorsi farciti di retorica all'ennesima potenza a convincermi a seguirlo con ammirazione: e che retorica, ragazzi! E last but not least l'incredibile movimento popolare (in particolare tra i giovani) che ha contribuito non poco a farmi sentire in parte un giovane (italo)americano pronto a dare una svolta alla politica a stelle e strisce. Anche se solo idealmente, e perchè no?, con la forza della musica, che nel bene e nel male rimane sempre uno dei migliori strumenti di aggregazione sociale.
Non ci credete? Ascoltate un po' qui, allora...





Fenomenologia di un blog

E' tempo di cambiamenti (solo apparenti?) qui in Italia. Sta per iniziare una nuova campagna elettorale, dopo la caduta dell'esile governo Prodi, e anch'io, nel mio piccolo, cercherò da oggi di dare una svolta a questo blog, si spera in meglio. Fino ad ora ho cercato di organizzare i contenuti in base a classificazioni che fossero il più originali possibile (vedi etichette: in my life, taccuino cinefilo, hic et nunc, pensieri e parole). Adesso, però, ho deciso di sbilanciarmi un pochino di più, magari con un post al giorno (impegni universitari permettendo) che rispecchi i miei pensieri. Quotidianamente (si spera!) cercherò di focalizzarmi su una questione che considero degna di nota e che mi permetta di proiettare sul web, attraverso il blog Land of Hope and Dreams, le mie personalissime idee. Auspico di essere all'altezza di questa sfida, nella speranza di non perdere mai quella curiosità verso le cose del mondo, la vera e unica ancora di salvezza contro le torbide disillusioni che spesso ci fanno desistere. Resistere, resistere, resistere, dunque, la sola parola d'ordine. Scrivere, scrivere, scrivere (oltre che leggere, naturalmente), il progetto a lungo termine per la mia Land of Hope and Dreams.