venerdì 27 giugno 2008

La Ragazza del Lago

Spesso nei film è possibile scandagliare i sentimenti (anche i più nascosti) dell’animo umano meglio di quanto sia possibile farlo nella vita vera, quella di ogni giorno. E’ ciò che fa con grande abilità narrativa (e registica) il bel film La ragazza del lago, con uno splendido (e sofferto) Toni Servillo nel ruolo di un commissario che si troverà ad indagare sulla misteriosa morte di una ragazza sulle rive di un lago (altrettanto misterioso quanto l’omicidio). Si narra infatti di una leggenda secondo la quale un serpente addormenterebbe per sempre chiunque si avvicini alle rive del lago. Inizia così l’indagine del commissario Servillo, che alla fine si rivelerà un’indagine su ogni singolo abitante (quasi tutti tratteggiati molto bene) del paesino nel quale si svolgono le vicende. Ognuno di loro ha i suoi problemi, i suoi segreti, le sue speranze, e ben presto lo spettatore si accorgerà che non è poi così importante scoprire chi è l’assassino, o qual è stato il suo movente, ma ancor più intrigante è entrare nelle vite dei vari personaggi per comprendere il loro rapporto con la vittima e come la sua atroce morte abbia cambiato la vita di ognuno, soprattutto quella del commissario. Un film italiano da non perdere.

La Signora del Venerdì

Sceneggiatura di ferro per una brillante commedia ambientata nel cinico (e senza pause) mondo del giornalismo, con una splendida coppia di attori (Cary Grant e Rosalind Russell) a interpretare un marito e una moglie in procinto di divorziare, ma che la passione innata per il mestiere di cronista – sempre a caccia di notizie mirabolanti – ricongiungerà nuovamente come se di divorzio non si fosse mai parlato. I dialoghi sono il maggior pregio della pellicola di Howard Hawks, che con un’ironia spietata e intelligente ci descrive alla perfezione i meccanismi di una redazione in perenne concorrenza con altre redazioni, e che allo scopo sarà pronta a tutto pur di portare in prima pagina l’esclusiva. Un film d’altri tempi, ma con un brio narrativo (e senza cedimenti a trovate comiche troppo rozze e scontate) che pochi altri film d’oggi possono vantare.

martedì 24 giugno 2008

My Endless Road

Capita a volte di spolverare qualche vecchio cd e ritrovarsi estasiati ad ascoltare canzoni mai apprezzate prima, che sembrano essere arrivate al momento giusto proprio per ispirarci e risollevarci dalle delusioni più inaspettate della nostra vita. Long May You Run del grande Neil Young, tratta dall'album Unplugged, mi ha folgorato come non mai lungo la dura strada della disillusione.
Long may you run
Although these changes have come
With your chrome heart shining in the sun

lunedì 23 giugno 2008

A testa alta

Il mio ricordo, e il ricordo di tutti noi italiani, splendidi campioni del mondo in quel di Berlino 2006, non può non essere andato a quegli spettacolari mondiali di calcio della calda (e piena di sorprese) estate di due anni fa. Un ricordo che ora si arresta in parte dinanzi agli spietati calci di rigore che hanno decretato la nostra sconfitta, ed esclusione, dagli europei 2008, contro una più determinata (ma anche fortunata) Spagna. Bisogna saper vincere, come bisogna anche saper perdere. E la nazionale italiana guidata da Roberto Donadoni, pur non avendoci offerto la stessa dose di emozioni della mitica squadra di Marcello Lippi, ha saputo comunque perdere dignitosamente, nella speranza – sempre l’ultima a morire – di avere dalla propria parte quel pizzico di fortuna in più per arrivare almeno in semifinale. Niente da fare, il cammino azzurro si è fermato, e la delusione dei tanti tifosi memori delle imprese mondiali di Berlino è tanta almeno quanto la voglia (ormai perduta) di un agognato bis europeo della nostra nazionale, della nostra cara Italia.
Alla prossima, azzurri…

giovedì 19 giugno 2008

L'Eterna Illusione

L’eterna illusione di sognare ad occhi aperti, l’eterna illusione di credere ai nostri sogni, l’eterna illusione di sperare nonostante tutto, l’eterna illusione di non perdere mai la speranza, l’eterna illusione di vincere le proprie sfide, l’eterna illusione di non arrendersi dopo una sconfitta. L’eterna illusione di affrontare a testa alta la vita, l’eterna illusione di vivere senza paure, l’eterna illusione di superare le proprie paure, l’eterna illusione di guardarsi indietro senza fermarsi, l’eterna illusione di guardare avanti senza dimenticare, l’eterna illusione di imparare sempre cose nuove, l’eterna illusione di avere il tempo per impararle tutte. L’eterna illusione di crescere senza invecchiare, l’eterna illusione di restare per sempre bambini, l’eterna illusione di trovare l’anima gemella, l’eterna illusione di girare il mondo, l’eterna illusione di lavorare in giro per il mondo, l’eterna illusione di tornare a casa per riposare la mente e il cuore, l’eterna illusione di lasciare la propria casa, l’eterna illusione di crescere lontano da casa. L'eterna illusione di dare un senso ai propri giorni, l’eterna illusione di carpire il segreto del mondo, l’eterna illusione di sognare un altro mondo, l’eterna illusione di viaggiare in altri mondi, l’eterna illusione di cambiare il nostro mondo. Ho visto un grandissimo film, ho visto L’eterna illusione. Thank you Frank Capra.

domenica 15 giugno 2008

Viaggio al centro di Gomorra

Per chi ha già letto il libro Gomorra del giovane (e sotto scorta armata) scrittore napoletano Roberto Saviano, il nuovo film (Gomorra, appunto) del regista italiano Matteo Garrone, vincitore del Gran Premio della Giuria alla 61ma edizione del Festival di Cannes, rappresenta un’opera complementare, e con una sua autonomia stilistica e di contenuto, rispetto alle terribili pagine del libro, pubblicato fino ad ora in 33 paesi diversi in giro per il mondo. E proprio in questo risiede il maggior punto di forza della sorprendente (e quasi per niente consolatoria) pellicola di Garrone, che insieme agli sceneggiatori Maurizio Braucci, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso (compreso Roberto Saviano) ha estrapolato dal libro alcune delle storie narrate dall’autore. Storie che rinascono come nuove sullo schermo, e che in questa rinascita cinematografica trovano la strada giusta per mostrarci, senza censure di sorta e con la massima violenza possibile, l’umanità e la disumanità in terra di camorra. Una terra dove uomini, donne e bambini partecipano tutti (chi consapevolmente, chi meno) allo spettacolo macabro di uno stillicidio continuo e senza appello. Proprio quando non se l’aspetta, lo spettatore viene tramortito dal rumore assordante di più spari, e senza nemmeno accorgersene si ritrova ad assistere alla solita carneficina in stile camorristico. Sono diverse, e tutte senza pietà, le scene in cui è la morte violenta la vera protagonista del film, quando a morire può essere un ragazzo, o anche una donna. La camorra non guarda in faccia nessuno, sembra suggerirci il regista, che con un’estrema lucidità stilistica non concede nulla a noi spettatori, costretti dall’inizio alla fine ad assorbire ogni singola sequenza (recitata tra l’altro in dialetto napoletano molto stretto) attraverso la mediazione dei sottotitoli in italiano e dei volti scavati, increduli, sofferenti e senza scrupoli dei vari personaggi. E dall’intermediario (interpretato alla perfezione da un freddo Toni Servillo) che ricicla illegalmente i rifiuti tossici del nord nel sud Italia, fino ai due ragazzi della periferia napoletana che passano il tempo compiendo rapine e sparando in aria come in un videogioco, sono questi personaggi (ognuno protagonista delle varie storie narrate, che pur non intrecciandosi hanno come sfondo lo stesso contesto di degrado morale) a dare quel valore aggiunto al film di Garrone. Che partendo dal basso, da quegli strati sociali dove la camorra rappresenta tanto una speranza (economica) quanto una condanna (morale), ci mostra la vita quotidiana, quella vera, vissuta all’ombra delle vele di Scampia e di tutti quei rifiuti tossici interrati nelle cave (ma anche nelle terre coltivate) del napoletano e del casertano. Gomorra è un film potente, di non immediata comprensione (soprattutto quando si accenna alla faida tra scissionisti e il clan Di Lauro) a spettatori che non conoscano già la cronaca insanguinata della Campania, ma con una forza visiva capace di trasportarci fin dentro l’inferno sociale splendidamente descritto da Roberto Saviano, e ora ancor più palese così impresso senza sbavature sugli schermi di casa nostra (e non solo).

Viaggio al termine della speranza

Ci sono film che, al di là della storia narrata, con i suoi personaggi e le azioni che li coinvolgono (e ci coinvolgono), assumono una loro rilevanza artistica a partire dal contesto sociale, geografico e storico che rappresentano sullo schermo. E dal modo in cui lo fanno. Sotto le bombe del regista franco-libanese Philippe Aractingi ne è un esempio lampante. Per comprenderne il perché basta fare un salto indietro fino al 12 luglio 2006, quando l’esercito israeliano, in risposta all’attacco militare (seguito dal rapimento di alcuni suoi soldati) da parte delle milizie sciite Hezbollah, decise di bombardare il Libano del sud. Fu l’inizio di 33 lunghi giorni di terrore e di morte, soprattutto tra i civili (donne e bambini) libanesi. E proprio una donna e un bambino, Maha e Karim, dispersi dopo i bombardamenti israeliani nel piccolo villaggio di Kherbet Selem, spingeranno la protagonista del film, Zeina (sciita libanese trasferitasi a Dubai), a ritornare in patria per cercare la sorella (Maha) e il figlio (Karim). Ma come mai Karim si trovava dalla zia Maha nel sud del Libano e non con la madre? Perché Zeina, in procinto di divorziare da un marito sempre più distante e assente (e non è un caso che durante il film lo si senta solo parlare al cellulare con la moglie, senza mai vederlo in volto), aveva deciso di allontanare il figlio dal possibile trauma di un divorzio in famiglia. Mai Zeina avrebbe pensato alla possibilità di un’altra guerra in terra libanese capace di mettere in pericolo la vita del piccolo e della zia. L’ennesima guerra capace di mietere altre 1189 vittime civili, molte sepolte sotto le macerie delle proprie case, alle quali si somma quasi un milione di rifugiati. Ma proprio questo è avvenuto nell’estate del 2006, spingendo così il regista Aractingi, dieci giorni dopo l’inizio dei bombardamenti israeliani, a imbracciare la macchina da presa e a riprendere letteralmente sotto le bombe la devastazione del suo paese. Solo due attori professionisti a recitare, Nada Abou Farhat (nel ruolo di Zeina) e Georges Khabbaz (molto bravo nell’interpretare le paure e le ambizioni del giovane tassista Tony), circondati da rifugiati, giornalisti, militari, insomma tutte persone vere che all’epoca dei fatti subivano a loro modo la guerra in terra libanese. Proprio nello scontro (prima) e nell’incontro (dopo) di Zeina con Tony, l’unico tassista offertosi ad accompagnarla nel sud del paese in cerca della sorella e del figlio, si cela lo spirito intimista del film Sotto le bombe, che cerca cosi, attraverso il rapporto tra due caratteri in parte diversi (Zeina sciita, Tony cristiano), di sminuire queste legittime differenze, non rinunciando perciò a mostrare la crescente solidarietà umana che s’instaurerà tra i due, durante il loro viaggio lungo le strade di un Libano in macerie. Perché, come ha ribadito Philippe Aractingi, "Questo non è un film che prende posizione. E’ un film che parla della sofferenza degli innocenti", e dinanzi a vittime innocenti, sembra suggerirci il regista, non c’è alcuna ideologia o religione che tenga. Perché alla fine sotto le bombe si muore, e da morti siamo tutti uguali. Un film duro e a tratti poetico, che difficilmente può lasciare indifferenti.

Quando un incontro può cambiarti la vita

Nelle sale italiane è uscito dopo essere stato presentato con successo, lo scorso novembre, al Festival di Torino. Ma negli Stati Uniti, il nuovo, sorprendente film diretto da Brad Silberling, 10 cose di noi (10 items or less, dal nome delle casse dei supermercati dove è possibile acquistare al massimo 10 pezzi), ha debuttato nei cinema a stelle e strisce il 1° dicembre 2006, più di due anni fa. Girato a Carson, il sobborgo multietnico di Los Angeles (in California), in ben 15 giorni (tra febbraio e marzo 2006), la pellicola è stata distribuita all’inizio solo in 15 sale. Nel cast due attori del calibro di Morgan Freeman (che interpreta sé stesso) e dell’affascinante Paz Vega (nel ruolo di una cassiera sola e un po’ depressa). Riferendosi a 10 cose di noi, il regista Brad Silberling ha dichiarato di "averlo scritto ancora prima di fare Lemony Snicket, e dopo quel film, per il quale ho trascorso due anni sul set, ho voluto vedere i film neorealisti italiani, per una sorta di terapia mentale. Così facendo, mi sono reso conto che mi ero fatto un regalo: potevo semplicemente andare in strada con due grandi attori e filmare". Il protagonista della storia è Morgan Freeman, che interpreta un sé stesso lontano dalle luci di Hollywood, alla ricerca di piccole parti non troppo impegnative in film indipendenti. E proprio l’offerta di farlo recitare in una di queste pellicole a basso budget, lo porterà alla periferia di Los Angeles per un sopralluogo da fare in un supermercato, per meglio comprendere la parte del direttore che dovrà interpretare. Ma una volta giunto a destinazione, non troverà chi stava cercando, bensì una giovane e grintosa cassiera, Scarlet (Paz Vega), che da subito attirerà la sua attenzione di attore abituato a scandagliare ogni minimo dettaglio delle altre persone intorno. Inizia così l’incontro/scontro tra due personaggi che, pur nelle loro tante differenze, una cosa in comune sembrano avercela: la solitudine. Che nel caso di Morgan Freeman sembra acuirsi proprio per il fatto di essere un attore famoso, conosciuto da tutti, ma alla fine da nessuno. "Ogni volta che il personaggio cerca di presentarsi", ha detto Silberling, "l’altro risponde ‘So chi sei’". Ma sanno veramente chi è, si chiede lo spettatore? D’altro canto, però, anche Scarlet non sembra passarsela meglio, immigrata con un matrimonio fallimentare alle spalle e senza il conforto nemmeno di un figlio. "Volevo che Scarlet fosse un’immigrata, molto isolata, con una relazione in completo fallimento, in modo che fosse ancora più sola” ha spiegato il regista. Ma ancor più importante, per Silberling, è stata la scelta di assoldare anche attori non professionisti presi direttamente dalla strada, per vedere il personaggio di Freeman tornare alla vita grazie al fatto di essere immerso nella vita vera. Basti pensare, ad esempio, ai ragazzi dell’autolavaggio oppure alla donna del negozio di articoli da regalo. Tutte persone reali, protagoniste di una gustosa commedia musicale (a tratti anche struggente) che ci narra di due solitudini (Morgan e Scarlet) capaci ancora una volta di credere l’uno nell’altra, e di confidare nuovamente nella bontà dell’animo umano. "Vorrei che le persone avessero il cuore più leggero dopo averlo guardato, ha detto la produttrice Julie Lynn, per pensare alle possibilità che offre la vita". E il piccolo, grande film di Brad Silberling sembra esserci riuscito in pieno.

martedì 10 giugno 2008

Once Upon a Time in Italy

L'identità nella relazione

di Giuseppe De Rita
Non ci accorgiamo di bestemmiare quando pensiamo di noi stessi «io sono colui che sono» come avessimo una splendida identità da non mutare, da preservare, da imporre magari con la violenza; mentre l'altro è il diverso, è il pericolo, è il portatore di male (si tratti di un immigrato o del condomino della porta accanto). E così non cambiamo, non maturiamo, non diventiamo più forti. In fondo un grande filosofo del secolo scorso ha detto che «l' identità non è nel soggetto ma nella relazione». La relazione è l' unica strada processuale per la dinamica dei cervelli e dei sentimenti. Uscire dal qui ed ora per vivere il tempo con gli altri, questa è la responsabilità che va restituita a tutti.

venerdì 6 giugno 2008

La sfida dell'Occidente

Va di moda oggi vilipendere le utopie degli Anni 60, che erano speranze di futuro: ma quell’epoca era meno cieca, infinitamente più duttile. Di fronte all’Occidente s’accampava un pericolo vero, il comunismo, e tutti i pericoli veri sono anche una sfida, una straordinaria occasione: nel caso specifico, la sfida era di competere col comunismo nell’aiutare i poveri e i diseredati. Nessun pericolo odierno (terrorismo, Iran) è paragonabile a quella minaccia benefica, che teneva sveglia la coscienza occidentale e la mobilitava. Oggi quella sfida non esiste più: in parte è una disgrazia. Oggi non si tratta di strappare i poveri e gli ultimi alla seduzione sovietica ma di aiutare le singole persone umane a non morire di fame, semplicemente e subito. È questo che gli occidentali non sanno fare. È questo che li rende così afasici,
volontariamente impotenti, e vuoti.

L'orrore della guerra

di Roberto Saviano
A Herr non interessa ricostruire una storia segreta. Vuole raccontare quel che è sotto gli occhi di tutti e nessuno però riesce a descrivere. Il Vietnam grazie anche a Michael Herr è divenuta la guerra persa non per i proiettili o la guerriglia dei vietcong, ma soprattutto perché è stata raccontata. Raccontare quella guerra per come è stata davvero, significa distruggere ogni argomento che ha portato al conflitto, e tracciare dove l'uomo perde la possibilità di essere uomo e la vicinanza tra soldati diviene l'unica legge di sopravvivenza. Vietnam, Vietnam. In fondo ci siamo stati tutti.

lunedì 2 giugno 2008

Tra sogno e realtà

di Ayrton Senna
Se una persona non ha più sogni, non ha più alcuna ragione di vivere. Sognare è necessario, anche se nel sogno va intravista la realtà.
Per me è uno dei princìpi della vita.