martedì 29 aprile 2008

Lo specchio di un Paese

Milena Gabanelli parlava di trasporto aereo ma è come se avesse parlato di una situazione endemica dell'Italia. Quando dice che la crisi dell'Alitalia nasce dall'ingerenza della politica e dal regime di monopolio cambia qualcosa se al posto di Alitalia scriviamo Rai? Quando dice che alcune Regioni pagano le compagnie low cost pur di aver un aeroporto sotto casa cambia qualcosa se al posto di low cost scriviamo università di massa?

domenica 27 aprile 2008

Rest in Peace, Blood Brother Danny

American Skin (41 shots)

HERE WE GO AGAIN

L'isola dei misteri

Prima di iniziare a vederlo, avevo qualche pregiudizio di troppo, pensando (e a torto) che il grande successo di pubblico non fosse sintomo anche di qualità artistica. E invece, dopo la prima puntata della prima stagione di Lost (vista qualche mese fa), la mia passione per le storie dei sopravvissuti del volo Oceanic 815 è cresciuta a dismisura, puntata dopo puntata, stagione dopo stagione. Fino alla quarta stagione, per la precisione. E ora che sono arrivato al capolinea (temporaneo) della serie tv in questione – in attesa di vedere le puntate conclusive della quarta stagione che già stanno andando in onda negli Stati Uniti – posso per un po’ soffermarmi a pensare a tutte le emozioni che un grande telefilm come Lost (un capolavoro, secondo Aldo Grasso) riesce a trasmettere ai suoi fedeli spettatori. Che, sin dall’inizio della serie, non hanno potuto non identificarsi nel destino tragico dei protagonisti, precipitati su un’isola sconosciuta e misteriosa, piena di insidie e segreti, completamente privi di certezze e lontani anni luce dalla vita di sempre in quel mondo che, giorno dopo giorno, appare più lontano e inafferrabile. Ma la vita continua la sua corsa inarrestabile verso il futuro, costringendoci (insieme ai personaggi) a rivedere le nostre abitudini di un tempo, le nostre convinzioni passate, ormai quasi inutili su un’isola sperduta in mezzo all’oceano. Ci sentiamo persi (lost, appunto), e forse proprio per questo ancora vivi, pronti a tutto pur di sopravvivere in qualche modo.

mercoledì 23 aprile 2008

Il destino di un Paese

Dopo più di una settimana dalle ultime, sorprendenti elezioni politiche, cerco di rimettere in ordine i miei pensieri. Ho letto, in questi giorni, parecchi giornali per tenermi al passo con più considerazioni possibile in merito al nuovo panorama partitico del nostro Paese. Premetto che fino all’ultimo, prima delle elezioni, non sapevo se andare a votare o meno, e alla fine ho scelto per il mio diritto al voto, mettendo una croce sul simbolo dell’Italia dei valori di Di Pietro. Ecco perché: 1) per non contribuire indirettamente, con il mio non-voto, alla vittoria di Berlusconi & Co.; 2) per dare il mio appoggio (indiretto) al Partito democratico di Walter Veltroni, coalizzatosi appunto con Di Pietro, evitando però di votare (direttamente) per la pessima classe dirigente candidata sempre da Veltroni nella mia regione, la Campania. La (vera) novità del Pd di Veltroni è stata quella di presentarsi alle urne liberi dal veto ideologico della sinistra massimalista, cercando però invano di calamitare consensi dal centro, che a quanto pare non si è fidato poi tanto dell’offerta politica di Veltroni. Qualcuno potrà anche ribattermi che dietro la presunta novità veltroniana c’era gran parte della classe dirigente del governo Prodi, ma volendo (per carità di patria) glissare su questo aspetto di non poco conto (e tra l’altro vero), mi soffermerei di più sull’altra novità veltroniana – il correre da soli – che ha influenzato non poco (e in meglio) anche la fusione a destra di Forza Italia e Alleanza Nazionale nel Popolo della Libertà (PdL), contribuendo così a semplificare il panorama politico italiano. Quel correre da soli (scelta tra l’altro quasi obbligata per Veltroni, onde evitare scomodi paragoni con la scapestrata Unione di Prodi) ha contribuito ad una maggiore polarizzazione, da parte dell’elettorato, intorno ai due grandi partiti/coalizioni (PdL da una parte e Pd dall’altra) favoriti nella corsa elettorale. Tendendo così ad escludere in parte l’attenzione degli elettori verso quei partiti come l’Udc e la Sinistra l’Arcobaleno che sembravano non comprendere la necessità (tutta italiana) di una minore frammentazione parlamentare, e quindi di un minor potere di veto di quei partitini che se la spassavano a contare molto pur contando poco (in percentuali di voto). Ben venga, dunque, almeno per questa legislatura, l’estromissione dal Parlamento di Bertinotti & Co.
P.S. Un accenno a Berlusconi: questa volta sarà davvero l’ultima che lo vedremo al governo del Paese, un Paese non facilmente governabile soprattutto in tempi di crescita (quasi) a zero. Caro Presidente del Consiglio, si dia da fare per l’Italia, e alla svelta, altrimenti saranno guai per noi tutti (lei compreso, se aspira ancora ad avere un posticino di riguardo nei libri di storia).

martedì 22 aprile 2008

La vita in una scatola

Ogni mattina noi adulti ci infiliamo in una scatola (la macchina, l’autobus, la metropolitana) che ci porta in una seconda scatola (l’ufficio), dove appena arrivati accendiamo una terza scatola: il computer, che insieme a una quarta scatola, la tv, rovescia negli occhi dei ragazzini una quantità infinita di stimoli immateriali, contribuendo a istillargli un ideale estetico e delle aspettative che li indurranno a considerare mediocre la realtà della loro vita.

Massimo Gramellini

domenica 20 aprile 2008

Onora il padre e la madre

Capita spesso di perdere, nella traduzione italiana del titolo di un film straniero, il senso del titolo originale che magari ci avrebbe spiegato ancora meglio il significato della storia narrata. Capita proprio questo nell’ultimo, imperdibile film del maestro Sidney Lumet, plurinominato all’Oscar e vincitore dell’ambita statuetta alla carriera nel 2005, autore tra l’altro di autentici capolavori della Settima Arte come La parola ai giurati (1957), Quinto Potere (1975) e Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975).
Capolavori che si arricchiscono ora di un’altra grande pellicola, presentata fuori concorso nel 2007 alla seconda edizione della Festa Internazionale del Cinema di Roma, e da poco uscita anche nei nostri cinema. Si tratta del film Onora il padre e la madre - in lingua originale, invece, Before the Devil Knows You’re Dead - con attori del calibro di Philip Seymour Hoffman, Ethan Hawke e Marisa Tomei.
Il titolo in inglese deriva dall’antico detto irlandese May you be in heaven half an hour before the devil knows you’re dead (Che tu possa trascorrere mezz’ora in paradiso prima che il diavolo sappia che sei morto). A dir poco inquietante, al pari della storia narrata per immagini da Sidney Lumet. Una storia che ha inizio paradossalmente dalla fine, che avrà in realtà ulteriori evoluzioni tragiche e imprevedibili, pronte a sorprendere ad ogni sequenza lo spettatore.
Come dicevo, già il titolo originale - Before the Devil Knows You’re Dead – ci aiuta ad entrare nel corpo della vicenda che coinvolgerà due fratelli, Andy (Hoffman) ed Hank (Hawke), alla disperata ricerca di soldi facili. Come e dove ottenerli?
Guardando il film, subito capiamo che questo avverrà con una rapina in una gioielleria, ma niente andrà secondo i piani. Ecco allora iniziare il viaggio dei due protagonisti in tempi e luoghi ad ogni sequenza differenti, per mezzo di flashback che ci porteranno indietro a ripercorrere la decisione di Andy ed Hank di organizzare la rapina. Così lo spettatore si ritroverà a guardare più volte una stessa scena, ma da angoli visuali diversi e con sviluppi paralleli alla storia principale.
E’ un continuo rimettere in discussione le nostre certezze, dinanzi ad una realtà (cinematografica) che si compone e scompone con una facilità ed una perfezione unica. Il regista Lumet ci porta così dove vuole lui, grazie anche ad una sceneggiatura ad orologeria, dove ogni incastro è studiato nei minimi particolari, e dove ogni immagine è un tassello in più nella nostra mente per aumentare l’ansia che proviamo nel seguire le riprovevoli azioni dei personaggi.
E proprio l’amoralità che pervade gran parte dei protagonisti - vedi per esempio Gina (una sensuale Marisa Tomei), moglie di Andy che va a letto con Hank - ben si ricollega alla figura del Diavolo (riecheggiata nel titolo orginale) che sembra aspettarci al varco dell’Inferno, a voler punire quel peccato originale insito nell’animo umano.
Una visione pessimistica del mondo, quella di Lumet, che se a tratti ci mostra una speranza nascosta nella coscienza profonda di alcuni personaggi, non manca mai di mostrarci invece tutto il male che quegli stessi personaggi sono capaci di provocare.

In memory of Danny Federici (1950-2008)

giovedì 17 aprile 2008

LEONARDO SCIASCIA - A ciascuno il suo

A ciascuno il suo di Leonardo Sciascia, pubblicato nel 1966 a seguire le orme di un altro suo grande romanzo – Il giorno della civetta -, è un libro breve ma ricco di sfaccettature utili al lettore per addentrarsi al meglio in una storia di corruzione e di morte. Una storia ambientata in Sicilia, in terra di mafia, che sin dalle prime pagine insinua non pochi misteri nella mente di chi legge, rendendolo partecipe come non mai alla narrazione degli eventi tragici che coinvolgeranno i personaggi.
Il romanzo ha inizio con l’arrivo di una lettera minatoria anonima indirizzata al farmacista Manno: “Questa lettera è la tua condanna a morte, per quello che hai fatto morirai”. Suonano quasi come uno scherzo, queste parole, e il farmacista del paese sembra credere proprio ad uno scherzo, anche se di pessimo gusto. Solo che di lì a poco, Manno e il dottor Roscio, durante una delle loro consuete battute di caccia, verranno trovati entrambi assassinati, “colpito alle spalle il farmacista, al petto il dottor Roscio”.
Tutti in paese cominciano allora a chiedersi quale possa essere stato il movente dell’efferato omicidio, anche se da subito inizia a circolare la pista del delitto passionale ai danni del farmacista. Il dottor Roscio, insomma, si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma l’unico a non crederci resta il professor Laurana, il solo a voler continuare imperterrito ad indagare sul mistero del duplice omicidio. Soprattutto dopo aver scoperto che Roscio, qualche giorno prima di morire, si era recato a Palermo per incontrare un amico al quale avrebbe voluto riferire di un noto personaggio del suo paese in odore di corruzione.
E’ a questo punto, allora, che il professor Laurana, grazie anche ad altre scoperte frutto di una lucidissima indagine personale, comincia a pensare che forse il vero bersaglio non era il farmacista Manno, bensì il dottor Roscio. Ucciso perché sapeva troppo. Ucciso perché potesse tacere per sempre.
Ecco dunque delinearsi il senso profondo del romanzo di Sciascia, che nello scrivere un libro a metà tra un giallo e un’opera di denuncia civile, ci dona una mirabile rappresentazione scritta – e per questo ancora più impressa nella nostra coscienza – di una Sicilia ai margini della legalità, dove l’omertà e la violenza sono velenoso pane quotidiano, sintomo di uno status quo inaccettabile ma purtroppo reale se non ancora attuale.
Ho letto il tuo giallo che non è un giallo” scrisse Italo Calvino a Leonardo Sciascia nel 1965, “con la passione con cui si leggono i gialli, e in più il divertimento di vedere come il giallo viene smontato, anzi come viene dimostrata l'impossibilità del romanzo giallo nell'ambiente siciliano”.

mercoledì 16 aprile 2008

My Blueberry Nights

Una pellicola preziosa, come il bel viso a tratti sperduto di Norah Jones, che in questa sua prima prova cinematografica dà il meglio di sé. Un film che parla d’amore e di cuori infranti, che in qualche modo cercano sempre di venire a galla, a volte riuscendoci a volte no. Anche se il nuovo film di Wong Kar Wai non è all’altezza (per bellezza stilistica) di In the mood for love e 2046, riesce comunque ad ammaliare lo spettatore con la forza poetica delle immagini e delle musiche. Peccato per il finale un po’ troppo sdolcinato e prevedibile, a sbiadire quell’atmosfera incantata che aveva ben rappresentato i patemi d’amore di Lizy e Jeremy.

domenica 13 aprile 2008

La famiglia Savage

La famiglia Savage è una perla rara. E proprio quei film meno pubblicizzati si rivelano poi essere degli autentici capolavori, capaci di schiudere ai nostri occhi quegli aspetti della vita spesso ignorati e quasi sempre invisibili. E con una narrazione pacata, e senza sbavature, assistiamo ad una storia triste che non disdegna però attimi di speranzosa rinascita. Un po’ come la vita, anzi, soprattutto come la vita. Grandi attori e con un uso sagace dei paesaggi a rispecchiare mirabilmente i differenti stati d’animo dei personaggi.

venerdì 11 aprile 2008

Lacrime presidenziali

E' imbarazzante - almeno per me - vedere Bush jr. commuoversi davanti alle telecamere mentre sta per assegnare la medaglia d'onore all'ennesimo eroe americano morto laggiù in Iraq. E' imbarazzante perchè durante questi anni di guerra guerreggiata, dopo aver abbattuto nella primavera 2003 l'odiato Saddam Hussein, lo stillicidio di caduti a stelle e strisce mi è sembrato quasi un'irrimediabile fatalità, come se non ci fossero state gravi negligenze politico-militari nell'esportare armi-in-mano una fantomatica democrazia in Mesopotamia. Ogni volta qualcuno provava ad alzare un dito contro la scelta di invadere l'Iraq, distogliendo risorse dal più importante fronte afghano, qualcun'altro tirava subito in ballo il defunto Saddam Hussein. Come dire: era meglio prima sotto il regime del rais iracheno? Tutto ciò per cercare di distogliere l'attenzione da un semplice fatto: chi non ha voluto vedere che il terrorismo di matrice islamica in Iraq, dopo la sconfitta di Saddam, è aumentato invece che diminuire, sprofondando la popolazione in un'inevitabile guerra civile tra sunniti e sciiti? Ora, dopo cinque anni di scontri e di morti (da una parte e dall'altra), dopo che il surge (l'aumento delle truppe americane sul campo) sembra aver incrementato il controllo del territorio, e dopo che si è iniziato a parlare finalmente di ritiro - nella speranza che l'esercito iracheno cominci a prendersi maggiori responsabilità - ecco spuntare le dichiarazioni di Bush jr. e del Generale David Petraeus sulla necessità di sospendere per 45 giorni il ritiro delle truppe. Poi si vedrà cosa fare. Perchè? Per l'estrema fragilità del contesto politico-sociale iracheno. Mr President, è da cinque anni che l'Iraq è in bilico su se stesso. Riuscirete mai a stabilizzarlo? Come direbbe il Boss: Bring 'Em Home.

Piccola Grande JUNO

Ho visto al cinema il bel film Juno, di cui si è parlato ultimamente a proposito dell’aborto portato alla ribalta dalla lista di Giuliano Ferrara. Una giovane ragazza, molto carina e parecchio sveglia e disinibita, resta incinta dopo aver fatto per la prima volta sesso con il suo ragazzo. Cosa fare? Abortire o non abortire? Juno (questo il nome della protagonista) sceglie la strada più difficile da percorrere, decidendo di portare avanti la gravidanza e di affidare il bambino ad una giovane coppia desiderosa di averne uno. Quello che più mi ha colpito della scelta di Juno, sostenuta anche da due genitori molto comprensivi e per niente bigotti, è stata la libertà di giudizio che l’ha guidata fino in fondo – e senza alcuna costrizione – alla decisione di non abortire. Una libertà di scelta che andrebbe, a mio parere, sempre preservata, sia che si tratti di una ragazza (come Juno) convinta di non interrompere una vita potenziale, sia che si tratti di un’altra ragazza impaurita invece da una gravidanza inaspettata e non voluta. Perché, nel bene e nel male, è sempre la donna a doversi sobbarcare la maggior fatica (e non solo fisica). E non è detto che tutte le donne siano (o vogliano essere) coraggiose e risolute come la piccola, grande JUNO.

mercoledì 9 aprile 2008

La rimonta impossibile?

Fa bene Walter Veltroni a ribadire, comizio dopo comizio, tra una pausa e l’altra del suo viaggio in autobus per le città d’Italia, che il Partito democratico ha recuperato parecchi punti di svantaggio sul Pdl di Silvio Berlusconi. Fa bene perché se non ci crede lui, nella rimonta (quasi) impossibile, chi dovrebbe crederci? Quegli elettori di centro-sinistra (io tra questi) che in parte, secondo me, decideranno di astenersi dal voto delusi non poco dalla sbiadita performance della compagine governativa di Prodi & Co.? E che dinanzi ad un Veltroni che sogna ad occhi aperti, stile Berlusconi 2001, si sentono presi un pochino per i fondelli? Ribadisco: cercasi urgentemente OPERAZIONE VERITA’.

martedì 8 aprile 2008

La torcia della discordia

Le proteste in Tibet, dove per mano del potere totalitario cinese si sta verificando un vero e proprio genocidio culturale, hanno aperto un enorme squarcio di perplessità sulle prossime Olimpiadi di Pechino. C’è chi parla della necessità di boicottare la manifestazione tanto attesa (ormai da 4 anni) per dare un segnale forte alla Cina capital-comunista, affinché questa si decida (seppur gradualmente) di democratizzare la vita sociale dei propri cittadini. Allora mi chiedo se davvero un boicottaggio del genere possa servire allo scopo o se invece non rischi di acuire ancor di più la repressione politica della dirigenza comunista cinese. Io, a pensarci bene, credo alla seconda opzione, ed è per questo che non condividerei un boicottaggio generalizzato – da parte dei nostri sportivi – ma sarei invece più favorevole ad un simbolico boicottaggio politico, mirato ad evitare la presenza dei capi di Stato e di Governo all’inaugurazione dei Giochi Olimpici. Sarebbe questa una coraggiosa presa di posizione in difesa di quei semplici e (non sempre) universali ideali di giustizia e libertà, ideali di cui si sente tremendamente bisogno ora che la torcia olimpica ha iniziato il suo giro per il mondo.

lunedì 7 aprile 2008

We want to believe

Fra qualche mese arriverà nelle sale cinematografiche il secondo film della serie televisiva di culto X-files. Ne approfitto dunque per parlare di una delle mie più grandi passioni: i telefilm made in Usa. Durante le ultime vacanze natalizie ho finito di vedere finalmente la nona e ultima stagione di X-files, dopo più di un anno di appassionata partecipazione alle vicende extraterrestri (e non solo) di Mulder e Scully. Ripensare con un po' di nostalgia telefila a tutte le puntate viste - alcune più emozionanti, altre meno - mi permette di riflettere sul senso profondo che una serie tv come X-files si porta dietro insieme alle storie personali dei due protagonisti. I want to believe è il motto dell'agente Fbi Fox Mulder, e a pensarci bene è anche un po' il nostro, di motto. L'esigenza di spiegarsi l'impossibile visto dai propri occhi increduli, la volontà di alzare senza pregiudizi lo sguardo al cielo, in cerca di qualche risposta alle nostre domande di sempre, ci rende più umani, più sognatori, e anche più ingenui, ma profondamente fedeli agli inconfessabili segreti e desideri che ci animano. I want to believe. We want to believe. Forever.

giovedì 3 aprile 2008

No country for old men



Non è un paese per vecchi, ultimo grande film dei fratelli Coen - che ricorda per certi versi “Fargo”, altro loro capolavoro – è una pellicola che non si dimentica così facilmente. Le ambientazioni, i personaggi e le situazioni nelle quali sono coinvolti, a tratti lasciano senza fiato lo spettatore, incapace durante i 122 minuti del film di dare una spiegazione plausibile a tutta l’atroce violenza cui assiste in sala. Siamo nel Texas degli anni 80, dove un uomo si imbatte casualmente in alcuni cadaveri frutto di una violenta lite per questioni di droga. Qui il personaggio troverà una valigetta piena di denaro, che di lì a poco diventerà il peggiore dei suoi incubi, dal momento che un assassino psicopatico (un Javier Bardem praticamente perfetto) farà di tutto per recuperarne il contenuto. Riuscirà ad impadronirsi del prezioso bottino? E’ quello che lo spettatore continuerà a chiedersi nel seguire, alternativamente, la disperata fuga dell’uomo e la furiosa rincorsa dell’assassino. Intanto, ecco farsi avanti un altro personaggio della storia, lo sceriffo Roscoe Giddens (interpretato da un misurato Tommy Lee Jones) con il compito di inseguire anch’egli l’uomo in fuga, ma per evitare che incontri l’omicida/Javier Bardem che sta mietendo una vittima dopo l’altra per il solo gusto di uccidere. Ed è questa violenza gratuita, che l’anziano sceriffo decifra sulle diverse scene del delitto, a minare la residua speranza di Giddens, ormai vicino alla pensione e quasi del tutto disilluso dalla malvagità che lo circonda. Da qui il titolo Non è un paese per vecchi, tratto dall’omonimo libro di Cormac McCarthy. Insomma, un grande film che nel narrare una storia violenta, con tutti i particolari macabri del caso, non ne spiega fino in fondo le ragioni profonde (quasi come se non ce ne fossero), lasciando lo spettatore a chiedersi il perché di tanta ferocia spesso gratuita. Per niente consolatorio.