A ciascuno il suo di Leonardo Sciascia, pubblicato nel 1966 a seguire le orme di un altro suo grande romanzo – Il giorno della civetta -, è un libro breve ma ricco di sfaccettature utili al lettore per addentrarsi al meglio in una storia di corruzione e di morte. Una storia ambientata in Sicilia, in terra di mafia, che sin dalle prime pagine insinua non pochi misteri nella mente di chi legge, rendendolo partecipe come non mai alla narrazione degli eventi tragici che coinvolgeranno i personaggi.
Il romanzo ha inizio con l’arrivo di una lettera minatoria anonima indirizzata al farmacista Manno: “Questa lettera è la tua condanna a morte, per quello che hai fatto morirai”. Suonano quasi come uno scherzo, queste parole, e il farmacista del paese sembra credere proprio ad uno scherzo, anche se di pessimo gusto. Solo che di lì a poco, Manno e il dottor Roscio, durante una delle loro consuete battute di caccia, verranno trovati entrambi assassinati, “colpito alle spalle il farmacista, al petto il dottor Roscio”.
Tutti in paese cominciano allora a chiedersi quale possa essere stato il movente dell’efferato omicidio, anche se da subito inizia a circolare la pista del delitto passionale ai danni del farmacista. Il dottor Roscio, insomma, si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma l’unico a non crederci resta il professor Laurana, il solo a voler continuare imperterrito ad indagare sul mistero del duplice omicidio. Soprattutto dopo aver scoperto che Roscio, qualche giorno prima di morire, si era recato a Palermo per incontrare un amico al quale avrebbe voluto riferire di un noto personaggio del suo paese in odore di corruzione.
E’ a questo punto, allora, che il professor Laurana, grazie anche ad altre scoperte frutto di una lucidissima indagine personale, comincia a pensare che forse il vero bersaglio non era il farmacista Manno, bensì il dottor Roscio. Ucciso perché sapeva troppo. Ucciso perché potesse tacere per sempre.
Ecco dunque delinearsi il senso profondo del romanzo di Sciascia, che nello scrivere un libro a metà tra un giallo e un’opera di denuncia civile, ci dona una mirabile rappresentazione scritta – e per questo ancora più impressa nella nostra coscienza – di una Sicilia ai margini della legalità, dove l’omertà e la violenza sono velenoso pane quotidiano, sintomo di uno status quo inaccettabile ma purtroppo reale se non ancora attuale.
“Ho letto il tuo giallo che non è un giallo” scrisse Italo Calvino a Leonardo Sciascia nel 1965, “con la passione con cui si leggono i gialli, e in più il divertimento di vedere come il giallo viene smontato, anzi come viene dimostrata l'impossibilità del romanzo giallo nell'ambiente siciliano”.
4 commenti:
ciao paolo, sono rob,
non ho ancora un'identità da blogger ma tanto..
io volevo solo aggiungere un po' di mio alla tua recensione, addentrandomi in quella che è la profonda umanità di questo libro e dei suoi personaggi, sulla loro viscerale italianità..
pensiamo a quel gran personaggio di don Benito, che non esce di casa per non incontrare cialtroni e ladri, il pazzo che fa un'analisi lucidissima sul fascismo di peppino testaquadra.
oppure la scena del circolo, delle battute del figlio del notaio, dei discorsi sulla povera vedova e dell'ira del colonnello..
beh.. non ho aggiunto molto
era più una scusa per salutarti
e comunque il professor laurana era un cretino
Ciao Rob, e grazie per la tua "integrazione" alla mia recensione. I tuoi interventi sono sempre ben graditi su questa mia "terra di sogni e di speranze".
Un saluto anche a te, in attesa che pure tu, prima o poi, cominci a bloggare :)
devo assolutamente sapere come va al finale !! che succede ? si scopre l'assassino ? il motivo dell'uccisione ?? grazie..
Sei proprio sicuro di volerlo sapere, il finale???
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