domenica 28 settembre 2008

Man of the Year

Volete vedervi un film di un'attualità imbarazzante? Sto parlando di Man of the Year diretto da Barry Levinson (vi dice qualcosa Rain Man e Sleepers?) e intepretato alla grande da Robin Williams nei panni di un comico televisivo che, dopo essersi candidato a sorpresa alle elezioni presidenziali americane, riesce - però solo grazie ad un errore del sistema elettronico di voto, e a sua insaputa e di tutto il popolo a stelle e strisce - a diventare niente di meno che il nuovo Presidente degli Stati Uniti d'America. Un comico al potere, insomma. Ci credereste mai? E il film di Levinson, uscito nelle sale nel 2006, ma sarebbe stato perfetto in questi giorni di agguerrita campagna elettorale tra Obama e McCain, rende il tutto abbastanza credibile, anche se la storia perde un po' di smalto quando vira verso il genere thriller-cospirazionista. Ma alla fin fine, per chi volesse farsi due risate intelligenti, e sperare magari che un giorno una persona come Tom Dobbs possa davvero candidarsi, il film è altamente consigliato. Frase d'antologia: "I politici sono molto simili ai pannolini, devono essere cambiati spesso e per lo stesso motivo".

Recount

Capita sempre più spesso di guardare alla televisione film (made in Usa) progettati unicamente per il piccolo schermo, ma che di certo non sfigurerebbero al buio di una sala cinematografica. Basti prendere ad esempio le innumerevoli serie tv americane - da Lost a I Soprano, da X-Files a Dr. House - che spesso sono meglio di un film per le tematiche che toccano, e soprattutto per il modo in cui lo fanno. Ho visto qualche giorno fa il film Recount, con Kevin Spacey nei panni del responsabile dello staff elettorale di Al Gore ai tempi delle contestate elezioni presidenziali del 2000 in Florida, che ci narra splendidamente quelle concitate settimane quando il popolo americano non sapeva chi considerare legittimamente nuovo commander in chief, se Bush jr. oppure il vicepresidente Al Gore. La storia ormai la conosciamo tutti, ma del dietro le quinte ne sapevamo poco o niente. Onore al merito, dunque, a questo emozionante - anche se un po' manicheo: democratici buoni, repubblicani cattivi - film per la tv, che ha saputo guardare sapientemente indietro alla storia recente degli Stati Uniti. Come vorremmo vedere anche sulla nostra tv pellicole del genere...

mercoledì 24 settembre 2008

Redacted

Non mi capita spesso di guardare un film recente e dire dopo la visione: "Questo è un autentico capolavoro". Può capitare una volta all'anno, massimo due. Ora mi è capitato un'altra volta, e peccato che questa pellicola non l'abbia vista al cinema, ma sarebbe stato (quasi) impossibile. Sto parlando di Redacted diretto da Brian De Palma, presentato l'anno scorso al Festival del Cinema di Venezia, e mai - dico mai - uscito nelle sale italiane. Una vergogna. Il film parla di un gruppetto di soldati americani di stanza in Iraq, coinvolti (e la storia è realmente accaduta) nello stupro di una bambina irachena di soli 15 anni, uccisa poi insieme alla madre, il nonno e la sorellina. La storia viene narrata attraverso i filmini che i soldati hanno girato per le strade di Samarra, alternati con un documentario diretto da alcuni giornalisti per spiegare la vita delle truppe e dei civili iracheni intorno a un check-point dell'esercito, con i video di attentati ai danni dei marines caricati sul web dagli stessi terroristi, e altro materiale - come i tg iracheni locali - sempre opera della finzione filmica di De Palma. Il punto di vista è dunque sempre diverso, ma l'angolazione dalla quale lo spettatore - attraverso i filmati prodotti dagli stessi soldati - entra pian piano nella storia è davvero privilegiata ed inedita. Un film che lancia, come nessun altro film recente è riuscito a fare, un'ombra di puro orrore sulla sciagurata avventura americana in terra irachena. "La vera storia della guerra in Iraq è stata redatta dai media commerciali di massa: se siamo disposti a provocare questi disordini, allora dobbiamo anche affrontare le orrende immagini che conseguono da questi atti", ha dichiarato Brian De Palma. Siamo pronti a quelle immagini?

Lisbon Story

Può il cinema far rivivere su pellicola e su schermo il segreto più profondo, e anche più inafferrabile, di una città? Dopo aver visto Lisbon Story di Wim Wenders siamo convinti proprio di sì. E non solo far rivivere l'essenza di un luogo, ma anche delle vite che uomini e donne trascorrono in quei luoghi. Questa perla cinematografica del regista tedesco è un film sul cinema, nella sua disperata ricerca di armonia tra le immagini e il sonoro su cui i due protagonisti stanno lavorando, ma allo stesso tempo è soprattutto un film sulla vita, con le domande, che immancabilmente ognuno di noi si pone, a fare da sfondo letterario alle meravigliose vedute di Lisbona. Possiamo dire, alla fin fine, che il cinema è capace di farci scoprire realtà intorno che non sempre riusciamo a scorgere? Lisbons Story ve lo saprà dire...

martedì 23 settembre 2008

I am Legend

Riuscirà mai l'uomo a debellare il cancro? Nel film I am Legend con Will Smith, il genere umano ci è finalmente riuscito. Ma a quale prezzo? Ce ne accorgiamo non appena realizziamo che il protagonista è costretto a vivere da solo, non si sa bene da quanti anni, in una New York spettrale e senza più vita per le strade, invase ormai solo da erbacce e feroci animali affamati. Non si tratta più di una giungla d'asfalto, ma di una vera e propria giungla. Nel tentativo di curare il cancro con un particolare virus opportunamente modificato, l'intero (o quasi) genere umano è stato infettato, causandone una lenta degenerazione animalesca. Compito del protagonista è quello di scoprire un eventuale antidoto in modo da salvare la razza umana, se ancora ne è rimasta traccia sulla faccia della Terra. Le premesse dunque sono perfette per un film che, almeno nella prima parte, davvero è ben fatto, con una buona dose di spettacolarità (vedi la prima sequenza della caccia con l'auto per le strade di New York) ma anche di riflessione su quello che la solitudine può significare per un uomo in quelle condizioni. Con l'incedere della storia, però, il tutto ci sembra un po' troppo prevedibile, senza quell'intensità iniziale che ci aveva non poco affascinato. La morale del film si riduce così a frasi ad effetto che appaiono un pizzico artificiose, se non proprio pretenziose. Un esempio? La passione del protagonista per la musica di Bob Marley, l'unica cosa che gli è rimasta - insieme al suo adorato cane e al ricordo della moglie e della figlia - del mondo che fu, viene riassunta in questa citazione del grande autore giamaicano: "The people that are trying to make this world worse are not taking a day off — how can I? — Light up the darkness" (Le persone che stanno cercando di rendere peggiore questo mondo non si prendono giorni liberi, come posso farlo io? Illumina l'oscurità). Will Smith come un redivivo Bob Marley? Chissà...

domenica 21 settembre 2008

Thirteen Days

Avrei voluto che durante gli anni scolastici i professori di storia mi avessero fatto vedere più film per meglio comprenderla, la storia. Non tanto per capire i perchè di tante guerre che, in ogni periodo storico, non sembrano mai mancare, ma in particolar modo per cercare di condividere quegli stati d'animo che i testimoni del tempo vissero sulla propria pelle. Un film non deve per forza propagandare una verità storica, questo spetta agli studiosi, ma può invece rappresentare attraverso dei personaggi e le loro storie intrecciate alla storia, quel sentire comune che aiuta noi spettatori, a distanza di decenni o secoli dall'evento narrato, a carpire l'importanza, appunto, storica di un momento del passato che, nel bene o nel male, ha influenzato anche le nostre vite. Ho rivisto Thirteen Days, sui fatidici tredici giorni che portarono, nel lontano ottobre 1962, gli Stati Uniti d'America di John (e Bobby) Kennedy vicinissimi alla terza guerra mondiale contro l'Unione Sovietica di Kruscev, e ho pensato a quanto sia facile fare una guerra, e quanto sia difficile evitarla quando tutto e tutti ti remano contro. Anche se il film non è perfetto - un po' troppo lungo (ben 145 minuti), con una tensione narrativa che a tratti va scemando, dopo una prima parte abbastanza incalzante, e con una visione storica non poco romanzata - l'occasione di rivedere su schermo l'azzardo diplomatico dei fratelli Kennedy è ghiotta. Disse una volta Bobby Kennedy ritornando indietro a quei tredici giorni: "La lezione finale che dobbiamo trarre dalla crisi cubana dei missili è la seguente: è indispensabile sapersi mettere nei panni dell'avversario". Chi ha ancora oggi il coraggio di farlo, e non solo in politica?


sabato 20 settembre 2008

The Human Beast (L'Angelo del Male)

Ci sono film che vengono ricordati soprattutto per sequenze memorabili, che una volta viste sullo schermo difficilmente potranno essere dimenticate. The Human Beast (L'Angelo del Male nella versione italiana) di Jean Renoir è uno di quei film. E la sequenza in questione è quella del treno in corsa, all'inizio e alla fine della storia, che per una pellicola del 1938 è una ripresa non da poco. Aggiungeteci il dramma d'altri tempi, con una donna e un uomo (un grande Jean Gabin) pazzamente innamorati e disposti a tutto pur di suggellare questo loro amore, anche ad uccidere, e il gioco è fatto. Da qui il richiamo al titolo La bestia umana, ispirato all'omonimo romanzo di Emile Zola, dove sono gli istinti più profondi e nascosti dell'essere umano ad essere illuminati e scandagliati sotto l'occhio vigile del regista francese. Splendido bianco e nero, a far risaltare a futura memoria i volti indimenticabili di Jacques & Severine.

L'Atalante

Forse voi conoscerete questo film del 1934 diretto dal grande Jean Vigo (morto di tubercolosi a soli 29 anni) perchè una delle sequenze più celebri (vedi sotto) è stata adottata nella sigla del programma Fuori Orario condotto su RaiTre da Enrico Ghezzi. Questo film si chiama L'Atalante, ed è uno dei capolavori della Settima Arte per la sua capacità di fare autentica poesia con le immagini. La storia d'amore tra un giovane capitano e una ragazza di campagna per la prima volta, ore che si è sposata, lontana da casa e dalla famiglia contadina, diviene il simbolo di come una relazione possa infrangersi, anche solo per poco, contro gli scogli di una triste e ripetitiva quotidianità. Ma l'amore vince sempre, e l'indimenticabile sorriso di Dita Parlo ce lo ricorda ancora oggi in tutta la sua vivacità.

CentoChiodi

Classe 1931, 77 anni suonati, ma Ermanno Olmi ha ancora una lucidità intellettuale tutta da invidiare. Ne è prova lampante l'ultimo, poetico, e a tratti forse un po' troppo filosofeggiante, film dal titolo CentoChiodi. Protagonista è il sorprendente Raz Degan, nei panni di un giovane e affascinante professore di filosofia della religione, che decide di ferire a morte i suoi amati libri, letti e studiati per una vita intera ma mai veramente umani come magari avrebbe voluto. La sua verità è tanto scandalosa quanto poco, pochissimo politicamente corretta: cosa pensereste, infatti, se vi dicessero che "Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico"? Un film dal passo lento e dal sapore antico, ma con una carica eversiva capace di proiettarci in uno spazio e in un tempo dove dobbiamo per forza di cose affrontare le domande che Olmi ci ha perentoriamente posto.

The pursuit of Happyness

"Life, liberty and the pursuit of happiness" c'è scritto nella Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America. Vita, libertà e ricerca della felicità, come punti di riferimento immancabili per ogni cittadino americano. Dovrebbero essere dei diritti inalienabili, ma sappiamo come va il mondo, e lo sa anche il protagonista (realmente esistito) del film The pursuit of Happyness di Gabriele Muccino. Il debutto cinematografico oltre oceano del regista italiano non poteva andare meglio. Sarà stato il cast di attori davvero eccellente - su tutti Will Smith -, sarà stato l'appeal della storia (vera) di un padre di famiglia alla ricerca di quella felicità che solo un lavoro stabile poteva dargli, e sarà stata anche l'ambientazione in terra americana a dare quel qualcosa in più al film di Muccino, ma è certo che nè L'ultimo bacio Ricordati di me sono confrontabili con quest'ultima fatica del regista nostrano. Smielato quanto basta, ma almeno, e soprattutto, sincero.

venerdì 19 settembre 2008

Rambo

Rambo è sempre Rambo, come anche Sylvester Stallone che in Rambo, l'ultimo film della serie del grande personaggio reduce dal Vietnam, dà una bella interpretazione, anche se a volte un po' sopra le righe. Nelle scene di guerra più violente, infatti, il protagonista ci sembra più Terminator che Rambo stesso, e forse un pizzico di introspezione in più nel personaggio ci voleva. Ma quando poi assistiamo all'ultima scena (qui in basso) ci dimentichiamo delle varie imperfezioni e pensiamo soddisfatti: "Welcome home, Rambo".

Death Proof (A prova di morte)

Quentin Tarantino è un grande, non c'è dubbio. Ma nel caso dell'ultimo film, Death Proof, mi viene da pensare che si sia divertito solo lui a girarlo. A noi spettatori resta unicamente l'amaro in bocca per aver visto una pellicola senza capo nè coda, dove sesso & morte sembrano essere gli unici punti di riferimento per cercare di dare un senso al film in questione. Ma quale senso? Sedetevi in poltrona, magari sperando di non appisolarvi troppo presto.

In the Valley of Elah

Ci sono film che hanno il coraggio di affrontare la realtà di tutti i giorni, quella che mette a dura prova i nervi di un intero popolo alle prese, tanto per fare un esempio, con guerre che uccidono, giorno dopo giorno, i giovani figli di quel popolo alla ricerca affannosa di una consolazione. Quella stessa consolazione che cerca Tommy Lee Jones nel film di Paul Haggis In the Valley of Elah, dove è un padre che tenta in tutti i modi di capire perchè il figlio è l'unico a non essersi fatto ancora vivo dopo il ritorno dall'Iraq. Ma quella maledetta guerra così lontana e così vicina si rivelerà ancora una volta la causa di situazioni che non dovrebbero mai accadere: perchè un padre e una madre mai e poi mai dovrebbero seppellire i propri figli. Un film importante da non perdere.

The Happening (E venne il giorno)

Qualcosa di strano sta succedendo, come dice anche il titolo originale dell'ultimo film - The Happening, appunto - di Manoj Nelliyattu Shyamalan. In alcuni parchi d'America, mentre un misterioso vento scuote gli alberi intorno, la gente perde il controllo e comincia a suicidarsi. E' una reazione a catena dovuta non si sa bene a cosa. Sarà la natura, con la sua forza prorompente e inspiegabile, a causare tutto ciò? Se lo chiede un professore di scienze, interpretato da Mark Wahlberg, che si trova nel bel mezzo di questa tragedia. Guardate il trailer del film e non resisterete alla voglia di vederlo, ma come spesso accade i trailer sono più interessanti dei film stessi. La storia è intrigante, lo sviluppo un po' meno per evidenti sentimentalismi di troppo, ma la morale finale - non poco inquietante - è un severo monito a tutti noi abitanti del pianeta Terra.

giovedì 18 settembre 2008

L'Angelo Azzurro (The Blue Angel)

Indimenticabile Lola, indimenticabile Marlene Dietrich,
e altrettanto indimenticabile film di Josef von Sternberg.
L'Angelo Azzurro è una pellicola che vi stregherà
grazie ad una storia tanto dolce quanto triste.
Un professore di liceo s'innamora di Lola,
splendida ballerina non poco disinibita
del famoso locale L'Angelo Azzurro.
Ma non sempre l'amore è ricambiato,
e il povero professor Unrat lo scoprirà
sulla pelle dei suoi sentimenti,
quando gli anni passati sono ormai trascorsi invano,
e anche la vita non ha più nessun senso.
Un film amarissimo ma intenso come pochi.

Incantesimo (Holiday)

Che coppia, Katharine Hepburn e Cary Grant,
in questo dolcissimo film di George Cukor del 1938.
Si tratta di Incantesimo,
in versione originale Holiday.
Per chi crede nella forza eversiva dell'amore,
e anche per chi ancora non ci crede,
il film è da non perdere.
Cinema d'altri tempi, e che cinema!

La guerra lampo dei fratelli Marx

Guardate questa scena tratta dal film
ma sappiate che è solo un assaggio
dell'immensa e senza tempo comicità
di Groucho Marx & C.
Sono passati 75 anni, ma questo film
non li dimostra affatto.

mercoledì 17 settembre 2008

La sottile linea d'ombra

La storia non è tutto in un libro. Capita a volte, infatti, che le vicende dei personaggi di cui leggiamo nelle pagine dei romanzi continuino a vivere dentro di noi, al di là delle storie che li hanno visti protagonisti, quasi come se noi fossimo quei personaggi, pronti dopo aver chiuso il libro a prenderne il testimone nella vita vera. Provate a leggere, per esempio, il racconto La linea d’ombra, una delle ultime fatiche pubblicate nel 1917 – quando imperversava la Grande Guerra – dal celebre autore polacco Józef Teodor Konrad Korzeniowski, meglio conosciuto come Joseph Conrad. Dopo averne sfogliato le pagine, e aver condiviso le ansie di un giovane ufficiale di marina mercantile al suo primo comando, sarà facile trasporre il senso del titolo – di quella misteriosa “linea d’ombra” – dalla vita del protagonista alle nostre vite. Vecchi o giovani non importa, perché chiunque si accosti a quest’opera di Conrad troverà degli incastri con la propria esperienza di uomo alle prese con le illusioni e le disillusioni quotidiane. La storia, in questo caso, di un ufficiale di marina al suo primo impegno da comandante in mare, alla guida di una nave che sembra essere lì apposta per lui, è solo una metafora di quella fatidica “linea d’ombra” che ciascuno di noi avrà già varcato, o varcherà, nel corso della propria vita. E nella nota introduttiva all’opera, lo stesso Conrad avverte il lettore scrivendo che: “Lo scopo principale di questa narrazione era di presentare alcuni fatti innegabilmente connessi con il passaggio dalla giovinezza, noncurante e fervida, al periodo più consapevole e più tormentoso dell’età matura”. E in questo passaggio cruciale della propria esistenza, quando si è ancora per poco giovani e si vive “d’anticipo sul tempo a venire, in un flusso ininterrotto di belle speranze che non conosce soste o attimi di riflessione”, è inevitabile, scrive Conrad, che “innanzi a noi si profila una linea d’ombra, ad avvertirci che bisogna dare addio anche al paese della gioventù”. E’ quello che capita al protagonista della nostra storia, che da un momento all’altro si trova tra le mani una responsabilità mai avuta prima, il comando di una nave sconosciuta. “Non sapevo che aspetto avesse”, pensa il giovane ufficiale, “avevo soltanto udito di sfuggita il suo nome, e tuttavia noi eravamo indissolubilmente uniti per una certa parte del nostro futuro, si trattasse di affondare o di stare a galla assieme”, “quasi ch’io fossi destinato a quella nave che non conoscevo da qualche potere più alto delle prosaiche agenzie del mondo dei commerci”. Questione di destino o meno, il momento della verità giunge anche per lui, quella “linea d’ombra” tra gioventù ed esperienza, tra passato e futuro, è quasi visibile, e le domande senza risposta cominciano a farsi avanti. “Cosa m’aspettassi, non so”, si chiede prima di salpare per i mari del Sud-est asiatico il protagonista, “null’altro che una particolare intensità dell’esistenza, forse, ciò che è il succo delle aspirazioni giovanili”. Stava per dire addio al paese della (sua) gioventù? Solo al suo ritorno avrebbe potuto scoprirlo, nella consapevolezza, come gli dirà il capitano Giles, che “di riposo ce n’è ben poco nella vita, per tutti”, e che sarebbe “meglio non pensarci”. Amara verità che coloro che “hanno varcato nella prima gioventù la linea d’ombra della loro generazione”, come scrive Joseph Conrad nella dedica iniziale del libro, dovrebbero sapere.

venerdì 12 settembre 2008

The Dark Knight - Il Cavaliere Oscuro

Dopo l’affascinante “Batman Begins” firmato sempre dal regista Christopher Nolan, e interpretato da un bravo Christian Bale nei panni di Bruce Wayne (alias Batman), questa estate è arrivato nelle sale di tutto il mondo l’attesissimo sequel della saga dell’uomo pipistrello – “Il Cavaliere oscuro” - che nella resa cinematografica di Nolan sembra acquistare quell’umanità che nei precedenti film mancava. E questo ci appare il maggior pregio della nuova pellicola del regista inglese, come anche di quella precedente, che ci descrive un Batman alle prese non solo con i fantasmi che infestano Gotham City, ma anche con quelli che insidiano il suo animo di uomo irreprensibile che cerca di fare (quasi) sempre il bene della propria città. Mentre nel primo film ci riesce alla grande, in questo secondo episodio (e già il titolo “Il Cavaliere oscuro” sembra metterci in guardia) Batman si accorge pian piano che la sua forza messa al servizio di Gotham ha scatenato, seppur indirettamente, la lucida follia devastatrice di un nuovo criminale che si fa chiamare Joker. E qui abbiamo il passo in avanti, ma anche uno piccolo indietro, che la nuova pellicola di Nolan fa rispetto al precedente “Batman Begins”. Il passo in avanti è rappresentato dall’incredibile interpretazione di Heath Ledger (nei panni proprio di Joker) che ha sostenuto, quasi da solo, un film capace di creare, soprattutto dopo l’improvvisa morte di Ledger lo scorso gennaio, un’attesa spasmodica in tutti quei fan dell’uomo pipistrello che da subito erano stati stregati dalle poche e spaventose immagini di Joker/Ledger. Ma la grande performance del compianto attore australiano, e già si parla di un Oscar postumo come miglior attore non protagonista, ha inevitabilmente offuscato la stella di Batman, che ne “Il Cavaliere Oscuro” non ci sembra essere più lui il vero protagonista della storia. Tutto ruota intorno alla figura di Joker, a quel suo volto sporco e a quel suo sorriso impresso a sangue, a quelle sue macabre risate che risuonano come un continuo avvertimento alle orecchie di Batman, e alle nostre, un avvertimento che ha il sapore amaro della morte. La regia è impeccabile, con scene davvero mozzafiato anche se a volte un po’ troppo esagerate (vedi per esempio la scena in cui Batman stoppa un razzo con la sua auto supercorazzata). Come dire: anche Hollywood ha voluto la sua parte. Ma il marchio dell’autore (Nolan) non manca in questa pellicola “dark”, dove tutto sembra voler incupire anche l’animo degli spettatori, alle prese con un Batman in difficoltà, più umano che mai, un “Cavaliere oscuro”, appunto, con tutte le sue virtù ma anche le sue colpe. Cosa sarà disposto a fare, infatti, pur di fermare la devastante onda anarchica che Joker sta scatenando su Gotham City? E a quale prezzo ci riuscirà?

mercoledì 10 settembre 2008

Se l'Amore è il contrario della Morte

Basta anche un piccolo racconto per provare quelle emozioni che non sempre un romanzo, nel succedersi delle sue centinaia di pagine, riesce a darci. Mi è capitato qualche giorno fa leggendo “Il contrario della morte” di Roberto Saviano, prima uscita della serie “Corti di Carta” pubblicata dal Corriere della Sera. L’autore di “Gomorra” qui ci parla di Maria, giovane “sposina inciampata prima di giungere all’altare”. Gaetano, infatti, suo promesso sposo, è morto tragicamente in Afghanistan nel compimento del proprio dovere di soldato. È morto in una guerra che Maria, e tante altre ragazzine della sua tenera età, orfane come lei di un affetto caro, non riescono a capire del tutto. E neanche la scuola sembra preoccuparsi poi tanto di colmare questa lacuna, perché come scrive Saviano “fra i ragazzini delle mie parti fra l’ultima guerra che conoscono e quella che insegnano a scuola ci sono strati e strati di altre guerre”. Come quella in Afghanistan per esempio. Tanto che ora, ci dice Roberto, “a partire militari ci proverebbero anche quelli senza una gamba. E se prima, durante gli anni dell’esercito di leva, migliaia di giovani si facevano riformare con inesistenti fistole anali o pagavano a peso d’oro un bicchiere di urine contaminate col sangue da presentare come certezza per essere scartati, questo, ora che esercito significa lavoro e stipendio, non vale più”. Resta così l’amarezza di una giovane donna orfana del suo sogno d’amore, che “troppe volte si è persa dietro ai ricordi, non riuscendo più a trovare il fiato per parlare, sentendosi soffocata da tutto quanto non è accaduto. Come un pesce tirato fuori dall’acquario. Strozzata dall’ossigeno”. Rimane solo il verso della canzone “Carmela” di Sergio Bruni – “se l’amore è il contrario della morte” – a cui Maria pensa per aggrapparsi a quel suo sogno d’amore che non è morto nella memoria. “Ascoltando Maria sussurrare quel verso”, scrive Saviano, “sembrava che mi avesse dato l’insegnamento che ero andato a cercare lontano, nel fondo dei barili di parole, nelle metafisiche dei teoremi filosofici, e che avevo invece lì, semplice e risolto. E ora ogni volta che non ne ho cognizione, ogni volta che non ne percepisco il senso, ricordo Maria mentre mi dice quante cose deve ancora conoscere di Gaetano e mi saluta sulla soglia di casa come se all’improvviso avesse fretta, e so bene qual è la verità dell’amore, quella che tutto il nostro essere ascolta e capisce: il contrario della morte”. Grazie Maria per avercelo ricordato.

lunedì 8 settembre 2008

Cronache di un'estate #6

Cosa rimane dunque di questo mio viaggio estivo in quel di Londra? Un mucchio di emozioni contrastanti, che in futuro mi faranno ripensare a questo mio viaggio solitario in terra londinese come a un periodo costellato di momenti duri ma anche emozionanti e commoventi. Cosa resterà di Londra più impresso nella mia memoria? La bellezza mozzafiato degli innumerevoli parchi e spazi verdi della capitale britannica, i tanti musei dove poter trascorrere ore e ore senza accorgersene (su tutti, oltre alla National Gallery e al British Museum, il National Maritime Museum a Greenwich e l’Imperial War Museum), e la meravigliosamente accogliente Trafalgar Square dove tante volte, durante questi 20 giorni, mi sono rifugiato per assistere alle Olimpiadi di Pechino grazie ad un megaschermo proprio in mezzo alla piazza. E’ stato lì che ho visto in diretta il trionfo del giamaicano Bolt nei 100 metri ed è stato sempre lì, il giorno prima di tornare in Italia, che ho festeggiato insieme a tanti londinesi, e cittadini del mondo, il passaggio di consegne della bandiera olimpica da Pechino a Londra in attesa dei Giochi 2012 “made in London”. Unforgettable. Questa è dunque la cronaca della mia estate strana, inaspettata, a tratti dura ma comunque prodiga di esperienza sul campo, che mi è capitato di vivere dopo la ancora cocente delusione dell’Erasmus. E una volta tornato in Italia, ripensando spesso a una frase di George Eliot letta nell’Imperial War Museum – “In every parting there is an image of death” - una domanda continua a martellarmi la mente: cosa è morto dentro di me, e soprattutto cosa è nato di nuovo al mio agognato ritorno a casa? Spero qualcosa, in attesa del prossimo viaggio in terra straniera.
THE END

sabato 6 settembre 2008

Cronache di un'estate #5

La mia vacanza estiva 2008 era dunque decisa, pure quest’anno sarei partito, anche se non più in compagnia, ma alla fine questa era la sfida che più mi premeva affrontare per vincere: cavarmela da solo in un paese straniero dove avrei dovuto parlare per forza in inglese cercando di capire cosa gli altri mi dicessero. Negli anni scorsi, durante i miei viaggi 2006 (InterRail in terra scandinava) e 2007 (tra Londra, Edimburgo e Dublino), avevo la certezza che se non avessi capito qualcosa ci sarebbe stato Mario – mio abituale compagno di viaggio – ad aiutarmi. Ma questa volta no, c’ero solo io con le mie sole forze a dovermi sforzare di parlare e capire in inglese. Ora che sono ritornato in Italia, qui a Salerno, posso dire di essermela cavata, di essere riuscito a vincere questa sfida personale contro me stesso e contro le mie paure, anche se alla fine non sono riuscito a trovare un lavoro e son dunque ritornato molto prima – il 25 agosto e non più il 15 settembre – a casa.
TO BE CONTINUED...

giovedì 4 settembre 2008

Cronache di un'estate #4

Dalla cronaca (solo) annunciata di un Erasmus in terra danese, dunque, parte la storia di questa mia strana, inaspettata, a tratti dura ma comunque prodiga di esperienza sul campo, estate 2008. Un’estate da italiano oltremanica, o meglio un’estate da “Italian in London”. Apro un’altra parentesi. Prima di sapere la brutta notizia da Roskilde, avevo da poco iniziato a prendere delle lezioni di inglese da un professore madrelingua di Salerno, Francesco, e iniziammo a fare esercitazioni soprattutto di listening e speaking, i miei maggiori punti deboli nell’uso della lingua. Considerato poi che in Erasmus avrei dovuto parlare solo inglese, non potevo fare altro che iniziare ad esercitarmi. Saputo però della mia esclusione da Roksilde, e sapendo che Francesco aveva collegamenti a Londra per poter fare un esperienza in una famiglia del posto, subito gli chiesi di potermi mettere in contatto con qualcuno. Fu così che, sull’onda della delusione per l’Erasmus mancato, decisi di partire per Londra (da solo, questa volta) e cercare magari di trovare anche un lavoretto per guadagnare qualcosa. Decisi di partire il 6 agosto e di tornare il 15 settembre, un periodo bello lungo lontano da casa. I primi tre giorni, fino al 9 agosto, li avrei trascorsi in ostello, e così è stato. Dopo di che mi sarei trasferito a casa di Ana (portoghese) e Luigi (di origini italiane), la famiglia che mi avrebbe ospitato nella propria casa insieme ad altri studenti provenienti chissà da dove.
TO BE CONTINUED...