di Paolo Massa
La storia non è tutto in un libro. Capita a volte, infatti, che le vicende dei personaggi di cui leggiamo nelle pagine dei romanzi continuino a vivere dentro di noi, al di là delle storie che li hanno visti protagonisti, quasi come se noi fossimo quei personaggi, pronti dopo aver chiuso il libro a prenderne il testimone nella vita vera. Provate a leggere, per esempio, il racconto La linea d’ombra, una delle ultime fatiche pubblicate nel 1917 – quando imperversava la Grande Guerra – dal celebre autore polacco Józef Teodor Konrad Korzeniowski, meglio conosciuto come Joseph Conrad. Dopo averne sfogliato le pagine, e aver condiviso le ansie di un giovane ufficiale di marina mercantile al suo primo comando, sarà facile trasporre il senso del titolo – di quella misteriosa “linea d’ombra” – dalla vita del protagonista alle nostre vite. Vecchi o giovani non importa, perché chiunque si accosti a quest’opera di Conrad troverà degli incastri con la propria esperienza di uomo alle prese con le illusioni e le disillusioni quotidiane. La storia, in questo caso, di un ufficiale di marina al suo primo impegno da comandante in mare, alla guida di una nave che sembra essere lì apposta per lui, è solo una metafora di quella fatidica “linea d’ombra” che ciascuno di noi avrà già varcato, o varcherà, nel corso della propria vita. E nella nota introduttiva all’opera, lo stesso Conrad avverte il lettore scrivendo che: “Lo scopo principale di questa narrazione era di presentare alcuni fatti innegabilmente connessi con il passaggio dalla giovinezza, noncurante e fervida, al periodo più consapevole e più tormentoso dell’età matura”. E in questo passaggio cruciale della propria esistenza, quando si è ancora per poco giovani e si vive “d’anticipo sul tempo a venire, in un flusso ininterrotto di belle speranze che non conosce soste o attimi di riflessione”, è inevitabile, scrive Conrad, che “innanzi a noi si profila una linea d’ombra, ad avvertirci che bisogna dare addio anche al paese della gioventù”. E’ quello che capita al protagonista della nostra storia, che da un momento all’altro si trova tra le mani una responsabilità mai avuta prima, il comando di una nave sconosciuta. “Non sapevo che aspetto avesse”, pensa il giovane ufficiale, “avevo soltanto udito di sfuggita il suo nome, e tuttavia noi eravamo indissolubilmente uniti per una certa parte del nostro futuro, si trattasse di affondare o di stare a galla assieme”, “quasi ch’io fossi destinato a quella nave che non conoscevo da qualche potere più alto delle prosaiche agenzie del mondo dei commerci”. Questione di destino o meno, il momento della verità giunge anche per lui, quella “linea d’ombra” tra gioventù ed esperienza, tra passato e futuro, è quasi visibile, e le domande senza risposta cominciano a farsi avanti. “Cosa m’aspettassi, non so”, si chiede prima di salpare per i mari del Sud-est asiatico il protagonista, “null’altro che una particolare intensità dell’esistenza, forse, ciò che è il succo delle aspirazioni giovanili”. Stava per dire addio al paese della (sua) gioventù? Solo al suo ritorno avrebbe potuto scoprirlo, nella consapevolezza, come gli dirà il capitano Giles, che “di riposo ce n’è ben poco nella vita, per tutti”, e che sarebbe “meglio non pensarci”. Amara verità che coloro che “hanno varcato nella prima gioventù la linea d’ombra della loro generazione”, come scrive Joseph Conrad nella dedica iniziale del libro, dovrebbero sapere.
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