«Chissà dove sei, anima fragile», canta Claudio pensando alla moglie Elena, morta dopo aver dato alla luce Vasco, il loro terzo figlio. I due giovani genitori (Elio Germano e Isabella Ragonese) - innamoratisi sulle note della canzone Anima fragile di Vasco Rossi - si vogliono bene come quando erano fidanzatini alle prime armi. Se possono, figli permettendo, cercano ancora l'occasione giusta per amarsi appassionatamente. La macchina a mano diretta da Daniele Luchetti nel suo ultimo film La nostra vita, presentato in concorso al 63esimo Festival di Cannes, li segue da vicino in un corpo a corpo che cerca di catturarne respiri e speranze.
Rimasto (quasi) da solo ad accudire tre bambini piccoli, grazie all'aiuto del fratello Piero (Raoul Bova) e della sorella Loredana (Stefania Montorsi) Claudio riesce a concentrarsi sul lavoro da operaio edile nel tentativo di fare il salto di qualità alla ricerca del suo primo subappalto, rigorosamente in nero. Quando viene a sapere della morte di un guardiano rumeno per un incidente sul cantiere, decide di ricattare il collega Porcari (Giorgio Colangeli): in cambio del suo silenzio, Claudio vuole in affidamento un palazzo tutto per lui. Ma la vita nell'edilizia è dura: tra prestiti, pagamenti e tempi di consegne, non si può sgarrare di una virgola.
Ambientata nella Roma delle periferie, una città in continua trasformazione fisica e sociale, la storia - scritta da Sandro Petraglia, Stefano Rulli e Daniele Luchetti - ci parla di un'Italia avida di soldi e potere, ma anche legata ai valori della famiglia. Spesso gli stranieri appaiono più umani degli italiani, in un Paese dove si rischia un razzismo al contrario, come dice Celeste (Awa Ly), la ragazza di Ari (Luca Zingaretti), il pusher in carrozzina vicino di casa di Claudio. Quella dei clandestini sfruttati dal padrone italiano, è una rivolta silenziosa che rischia di esplodere da un momento all'altro come succede sul cantiere a Claudio (indietro di mesi sui pagamenti agli operai).
La pellicola di Luchetti - pur rischiando a volte di essere sopra le righe (vedi la sequenza del funerale di Elena) - coinvolge in parte lo spettatore grazie alle buone interpretazioni degli attori: da ricordare Elio Germano e Isabella Ragonese su tutti, credibili nel ruolo di una coppia alle prese con le difficoltà quotidiane. Resta però l'amaro in bocca per un film che avrebbe potuto distaccarsi da una visione eccessivamente didascalica della vita (i personaggi sembrano a volte ricalcare più dei luoghi comuni che delle persone reali) e da quel pizzico di politicamente corretto che contribuisce a rappresentare gli stranieri come i veri moralizzatori di un'Italia alla ricerca della coscienza perduta. Chi è innocente scagli la prima pietra.
Rimasto (quasi) da solo ad accudire tre bambini piccoli, grazie all'aiuto del fratello Piero (Raoul Bova) e della sorella Loredana (Stefania Montorsi) Claudio riesce a concentrarsi sul lavoro da operaio edile nel tentativo di fare il salto di qualità alla ricerca del suo primo subappalto, rigorosamente in nero. Quando viene a sapere della morte di un guardiano rumeno per un incidente sul cantiere, decide di ricattare il collega Porcari (Giorgio Colangeli): in cambio del suo silenzio, Claudio vuole in affidamento un palazzo tutto per lui. Ma la vita nell'edilizia è dura: tra prestiti, pagamenti e tempi di consegne, non si può sgarrare di una virgola.
Ambientata nella Roma delle periferie, una città in continua trasformazione fisica e sociale, la storia - scritta da Sandro Petraglia, Stefano Rulli e Daniele Luchetti - ci parla di un'Italia avida di soldi e potere, ma anche legata ai valori della famiglia. Spesso gli stranieri appaiono più umani degli italiani, in un Paese dove si rischia un razzismo al contrario, come dice Celeste (Awa Ly), la ragazza di Ari (Luca Zingaretti), il pusher in carrozzina vicino di casa di Claudio. Quella dei clandestini sfruttati dal padrone italiano, è una rivolta silenziosa che rischia di esplodere da un momento all'altro come succede sul cantiere a Claudio (indietro di mesi sui pagamenti agli operai).
La pellicola di Luchetti - pur rischiando a volte di essere sopra le righe (vedi la sequenza del funerale di Elena) - coinvolge in parte lo spettatore grazie alle buone interpretazioni degli attori: da ricordare Elio Germano e Isabella Ragonese su tutti, credibili nel ruolo di una coppia alle prese con le difficoltà quotidiane. Resta però l'amaro in bocca per un film che avrebbe potuto distaccarsi da una visione eccessivamente didascalica della vita (i personaggi sembrano a volte ricalcare più dei luoghi comuni che delle persone reali) e da quel pizzico di politicamente corretto che contribuisce a rappresentare gli stranieri come i veri moralizzatori di un'Italia alla ricerca della coscienza perduta. Chi è innocente scagli la prima pietra.
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