Quest’anno ho vissuto una estate completamente diversa dalle solite estati italiane, trascorse in parte sulle spiagge del salernitano a rilassarmi tra un bagno e un’abbronzatura al sole. A New York ci si viene per altro, certamente non per andare al mare. Insieme a Christian, un amico italiano conosciuto qui in America, decidiamo però un giorno di fare un giro a Coney Island, chiamata Konijn Eiland (l’isola dei conigli) dai primi colonizzatori olandesi. La giornata è caldissima, siamo ancora in pieno agosto, e una marea di persone si sta godendo il sole sulla spiaggia, anche se l’acqua non è particolarmente invitante. Tra l’altro non ho nemmeno il costume ma l’afa è così opprimente che decidiamo di tuffarci in un mare che non ha tutti i connotati per chiamarsi tale. Mi levo la maglietta e mi butto direttamente con i pantaloncini. L’acqua dell’Oceano Atlantico non è così fredda come credevo, ma almeno mi rinfresco un poco. Questa mia gita fuori porta al mare mi fa pensare per un attimo all’estate italiana che ho perso insieme a tutti i miei amici stando qui a New York. È bastato poco, però, per rendermi conto di quanto sia stato invece fortunato a vivere questa inaspettata e veloce estate americana. La nostalgia degli amici lasciati in Italia è stata tanta come anche il desiderio di poter vivere le loro pazze serate in spiaggia ad aspettare il tramonto.
Ogni volta che visito un posto nuovo sono sempre alla ricerca di un personale luogo dell’anima che mi aiuti, anche solo per un istante, a farmi sentire più rilassato e in pace con me stesso, distante quanto basta da non farmi pensare alle mie ambizioni e relative frustrazioni. Non ne ho trovato ancora nessuno definitivo qui a New York, ma c’è un posto che potrebbe diventarlo al termine di questa esperienza italo-americana. Si chiama Far Rockaway, nel quartiere newyorkese del Queens, a due passi dall’aeroporto Jfk, e ci si arriva con la linea A della metropolitana: è la spiaggia pubblica più grande di tutta New York. Decido di andarci una domenica particolarmente soleggiata per fare due foto. A un certo punto la metro esce allo scoperto e si può ammirare lo spettacolo del mare talmente vicino ai vagoni da dare l’impressione di viaggiare miracolosamente sull’acqua. La spiaggia di Far Rockaway è molto frequentata da surfisti alla ricerca dell’onda giusta.
Al solito io mi godo la passeggiata d’obbligo lungo il boardwalk (ah, quanto mi piacciono questi boardwalk americani) con le cuffie nelle orecchie ad ascoltare un po’ di buona musica e ad ammirare lo spettacolo delle onde che lambiscono una spiaggia in stile California, quasi infinita e dalla sabbia finissima. A un certo punto decido di sedermi su una panchina a riposarmi un pochino, e lì ci rimango per due ore buone nel tentativo di scorgere qualcosa (magari l’Italia) oltre l’orizzonte infinito di quel mare maestoso quanto basta per sognare ad occhi aperti. Un sogno chiamato libertà, difficile da spiegare a parole ma facilissimo da sentire non appena arriva ad accarezzare le corde del nostro animo sognante e prigioniero.
Ogni volta che visito un posto nuovo sono sempre alla ricerca di un personale luogo dell’anima che mi aiuti, anche solo per un istante, a farmi sentire più rilassato e in pace con me stesso, distante quanto basta da non farmi pensare alle mie ambizioni e relative frustrazioni. Non ne ho trovato ancora nessuno definitivo qui a New York, ma c’è un posto che potrebbe diventarlo al termine di questa esperienza italo-americana. Si chiama Far Rockaway, nel quartiere newyorkese del Queens, a due passi dall’aeroporto Jfk, e ci si arriva con la linea A della metropolitana: è la spiaggia pubblica più grande di tutta New York. Decido di andarci una domenica particolarmente soleggiata per fare due foto. A un certo punto la metro esce allo scoperto e si può ammirare lo spettacolo del mare talmente vicino ai vagoni da dare l’impressione di viaggiare miracolosamente sull’acqua. La spiaggia di Far Rockaway è molto frequentata da surfisti alla ricerca dell’onda giusta.
Al solito io mi godo la passeggiata d’obbligo lungo il boardwalk (ah, quanto mi piacciono questi boardwalk americani) con le cuffie nelle orecchie ad ascoltare un po’ di buona musica e ad ammirare lo spettacolo delle onde che lambiscono una spiaggia in stile California, quasi infinita e dalla sabbia finissima. A un certo punto decido di sedermi su una panchina a riposarmi un pochino, e lì ci rimango per due ore buone nel tentativo di scorgere qualcosa (magari l’Italia) oltre l’orizzonte infinito di quel mare maestoso quanto basta per sognare ad occhi aperti. Un sogno chiamato libertà, difficile da spiegare a parole ma facilissimo da sentire non appena arriva ad accarezzare le corde del nostro animo sognante e prigioniero.
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