di Paolo Massa
“Chissà se, prima o poi, si prenderà il largo”, si chiede in apertura del libro Io invece studio all’estero Loredana Oliva, giornalista di “Il Sole 24 Ore” specializzata sui temi dell’istruzione e del lavoro, che in questo saggio ci spiega, con storie di vita vissuta e utili informazioni sulle borse di studio offerte dai sistemi d’istruzione stranieri, quanto un’esperienza oltre i confini italiani possa arricchire il bagaglio culturale (e non solo) di uno studente. A lei è capitato da giovane studentessa di giornalismo, grazie all’ambito programma “Journaliste en Europe” promosso da Hubert Beuve-Méry, fondatore del giornale “Le Monde”, e dopo questo soggiorno in Francia insieme ad altri colleghi, per tutti loro è ora “un po’ più difficile essere chiusi, intolleranti, razzisti, ingenerosi”. Studiare all’estero, dunque, per aprire la propria mente al mondo sterminato di nuove lingue e culture, e per comprendere a pieno come funzionano (se meglio o peggio) i sistemi universitari (ma anche liceali) di altri paesi. Come dire: unire l’utile al dilettevole. Durante la lettura del libro di Loredana Oliva spiccano alcune statistiche che, purtroppo, non ci consolano in quanto italiani. “Tra i nostri universitari”, scrive la giornalista, “solo il 2% fa un’esperienza all’estero. Gli universitari in mobilità più numerosi sono gli australiani (oltre il 17%), e i francesi, che raggiungono quota 10%. (…) Nel confronto tra 28 Paesi europei dal 2000 al 2005, tra gli Stati partecipanti al programma Erasmus, l’Italia si ferma a quota 76.500 studenti mentre la Francia sfonda il tetto dei 97.000”. Secondo l’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), inoltre, “l’Italia accoglie meno del 2% di studenti internazionali, a fronte del 9% della Francia e del 10% della Germania, per salire al 22% degli Stati Uniti”. Basti pensare tra l’altro che solo il 36% degli italiani, secondo i dati dell’Eurobarometro (Europeans and their Languages, 2006), conosce una lingua diversa da quella madre, al di sotto quindi della media europea pari al 50% di cittadini europei capaci di parlare una lingua straniera. Anche sul fronte lavorativo, per finanziarsi parte dei propri studi, gli studenti italiani sono in svantaggio rispetto ai cugini europei: “In Irlanda gli studenti pagano almeno la metà del costo dei loro studi lavorando”, scrive Loredana Oliva, mentre in Italia “proviene dalle famiglie oltre il 60% delle risorse di cui dispongono gli studenti fuori sede”. Insomma, ad alzare un po’ lo sguardo oltre i nostri confini ci sarebbe tanto da imparare. Un altro piccolo esempio: lo sapevate che all’estero molti ragazzi, dopo il diploma di scuola superiore o dopo i primi tre-quattro anni di università (bachelor), decidono di spendere un anno intero (il cosiddetto “gap year”) per partire da soli in giro per il mondo, alla ricerca di un lavoro e di qualche altra lingua da imparare? C’è addirittura un libro (in lingua inglese) edito dalla Lonely Planet, “The Gap Year Book”, per chiunque volesse trascorrere 365 giorni alle prese con i propri sogni da realizzare. Siete pronti a prendere il largo, allora?
Nessun commento:
Posta un commento