domenica 25 gennaio 2009

Jack, il vagabondo a spasso tra le stelle

Chi fu Jack London? Povero sin da ragazzino, "sopravvissuto" già dalla nascita (la madre incinta tentò il suicidio dopo che fu abbandonata dal compagno), guadagnò i primi spiccioli lavorando fino a trentasei ore di seguito. Si fece una cultura "nutrendosi" dei libri alla biblioteca comunale, frequentò per poco tempo l'università a Berkeley: in poche parole fu un vero e proprio autodidatta. Potremmo anche definirlo un vagabondo delle stelle, dal titolo del suo omonimo romanzo pubblicato nel 1915; lui, che "pur essendo nato in Minnesota, figlio d'immigrati dall'Europa", scrive Ottavio Fatica in una nota all'edizione Adelphi, "ha traversato tempi e spazi, e porta in sé il ricordo di epoche e luoghi remotissimi".

Un po' come il protagonista de Il vagabondo delle stelle, Darrell Standing, che in prima persona ci racconta le sensazioni provate da prigioniero per otto anni - "cinque dei quali immerso nell'oscurità" dell'isolamento - nel penitenziario statale di San Quentin, in attesa della condanna all"impiccagione. Jack London ci finì davvero in carcere, in quanto vagabondo senza fissa dimora, e volle descrivere con questo romanzo quella brutale esperienza. "Lo chiamano isolamento", scrive Darrell Standing, "ma quelli che riescono a resistere lo chiamano morte vivente. Eppure, in questi cinque anni di morte in vita sono riuscito ad attingere una libertà che solo pochi conoscono."

Il prigioniero, infatti, riesce con la sola forza della mente a vagare indietro nel tempo e nello spazio, pur non di pensare alla sofferenza della camicia di forza, entrando così in uno stato di incoscienza che gli fa rivivere le esistenze passate del suo spirito vagabondo. "Nulla si crea dal nulla. Non avrei potuto inventarmi dal nulla tutte queste visioni che coprono tanto tempo e tanto spazio. Esse erano nella mia mente, e della mia mente stavo ora apprendendo a percorrere i meandri", ci dice Darrell. Nella consapevolezza che "non ero io ad essere rinchiuso in gabbia, ma il mio corpo", il condannato a morte comincia a comprendere che lo "spirito è la memoria delle nostre infinite incarnazioni", paragonate a quelle che Wordsworth chiamava "le nuvole di gloria che con noi portiamo".

Non ci sarà, dunque, alcuna morte (o pena capitale) capace di tarpare le ali di uno spirito vagabondo a spasso tra le stelle del tempo, solo il corpo cesserà di esistere, e non ci sarà dubbio allora che su questa terra "continuerò a muovere i miei passi, mille e mille volte, come principe e come contadino, come sapiente e come analfabeta", perché "io sono spirito, e sono io che duro", scrive sicuro di sé Darrell Standing. Solo una domanda resta senza risposta: cosa saremo quando torneremo a vivere di nuovo?

1 commento:

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good