venerdì 16 novembre 2007

IL LIBRO: La scomparsa dei fatti

"La differenza fra chi scrive per i suoi lettori e chi scrive per altri si nota subito: il primo parla chiaro e lo capiscono tutti, il secondo parla in codice e lo capisce solo chi lo deve capire” ha scritto Marco Travaglio ne “La scomparsa dei fatti”, citando Indro Montanelli.

E il celebre giornalista “contro” è uno di quei pochi professionisti dell’informazione a scrivere sempre per i suoi lettori, e a parlare chiaro, come ben si evince da questo libro - “La scomparsa dei fatti” – lucida requisitoria sull’impietoso stato di salute dell’informazione made in Italy.

Già il titolo è tutto un programma, alla luce del nuovo motto del giornalismo italiano – “Niente fatti, solo opinioni” – poiché, scrive Travaglio, “senza fatti, si può sostenere tutto e il contrario di tutto. Con i fatti, no”.

E ad andarci sotto, come sembra suggerirci l’autore, è il popolo bue, costretto a sorbirsi, ogni giorno e a qualsiasi ora, le balle ufficiali propagandate dai mezzi di informazione, dalla tv ai giornali.

Ma spesso non si tratta solo di mera propaganda, bensì di un vero e proprio occultamento dei fatti, e quindi delle notizie. Due sono le tecniche di occultamento dei fatti, secondo Travaglio: “gli anestesisti di regime (…) o si concentrano su un aspetto marginale e fuorviante della notizia, oppure ne trovano un’altra per rimpiazzarla al più presto”.

Qualche esempio concreto? “La prima tecnica” prosegue Travaglio “è quella adottata per depotenziare gli scandali scoperti dalle intercettazioni (si parla del contenitore, cioè del fatto che i giudici intercettano, per non parlare del contenuto, cioè di quanto viene smascherato da quei controlli)”. Come dire: è il giornalismo (italiano), bellezza!

Ma a bruciare ancor di più, in questa continua campagna di occultamento dei fatti, è la rimozione di quelle notizie (scomode) relative agli intoccabili della politica. Ecco perché Marco Travaglio parla della cosiddetta “legge degli intoccabili”.

Di che si tratta? “Se un intoccabile viene indagato” scrive l’autore “non dev’essere processato; se poi, per disgrazia, viene processato, non dev’essere condannato; se poi, per somma sventura, viene condannato, o comunque dichiarato colpevole, nessuno lo deve sapere”.

Anche qui gli esempi non mancano. “Per i processi di Tangentopoli, come per quelli di Palermo su mafia e politica” prosegue Travaglio “le uniche sentenze di cui si può parlare sono quelle di assoluzione (…). Quelle di prescrizione – quasi sempre condanne mancate per motivi di tempo, previo riconoscimento della sicura colpevolezza – devono essere presentate come assoluzioni (…). Quelle di condanna, invece, devono essere occultate, rimosse, minimizzate. Se sono di primo o secondo grado, si dice che è meglio attendere la Cassazione. E se poi (…) arriva anche la condanna in Cassazione, non vale comunque. Si tratta di sentenze politiche (…)”.

Come ha scritto Michael Braun su “Internazionale”, “In Italia non basta neanche la responsabilità penale. Anche le sentenze dei tribunali passano per un’opinione”. E così pure la verità, quella che ogni buon giornalista dovrebbe cercare di afferrare con il duro lavoro di ricerca dei fatti, perde ogni consistenza, ridotta anch’essa a mera opinione.

Quando potremo dire tutta la verità, non la ricorderemo più”, diceva Leo Longanesi. E come dargli torto?

2 commenti:

joetriglia ha detto...

ripubblicalo adesso paolo, dannazione

Paolo Massa ha detto...

in effetti, Joe, questo libro di Travaglio andrebbe fatto leggere di nuovo in tempi di "bavaglio" come questi!