venerdì 16 maggio 2008

Mille pezzi di noi

Ci sono certi libri che spalancano ai nostri occhi realtà cui non avevamo mai pensato, pur avendone avuto più volte la possibilità. Guardarsi allo specchio (almeno per me), dopo aver letto Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello, non potrà avere più lo stesso significato. Dovremmo affidarci davvero alla superficie (falsamente) riflettente del nostro specchio per cercare di capire chi in superficie noi siamo? Potrà mai bastare un nome e un cognome per delinearci come essere umani hic et nunc, qui e ora, senza confusioni di sorta?
Ci dice Pirandello/Vitangelo Moscarda:
Non mi conoscevo affatto, non avevo per me alcuna realtà mia propria, ero in uno stato come di fusione continua, quasi fluido, malleabile; mi conoscevano gli altri, ciascuno a suo modo, secondo la realtà che m'avevano data; cioè vedevano in me ciascuno un Moscarda che non ero io, non essendo io propriamente nessuno me; tanti Moscarda quanti essi erano, e tutti più reali di me che non avevo per me stesso, ripeto, nessuna realtà.
...Non è altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest'albero, respiro trèmulo di foglie nuove. Sono quest'albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo.
...Pensare alla morte, pregare. C'è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane. Io non l'ho più questo bisogno, perchè muojo ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori.

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