domenica 15 giugno 2008

Viaggio al termine della speranza

Ci sono film che, al di là della storia narrata, con i suoi personaggi e le azioni che li coinvolgono (e ci coinvolgono), assumono una loro rilevanza artistica a partire dal contesto sociale, geografico e storico che rappresentano sullo schermo. E dal modo in cui lo fanno. Sotto le bombe del regista franco-libanese Philippe Aractingi ne è un esempio lampante. Per comprenderne il perché basta fare un salto indietro fino al 12 luglio 2006, quando l’esercito israeliano, in risposta all’attacco militare (seguito dal rapimento di alcuni suoi soldati) da parte delle milizie sciite Hezbollah, decise di bombardare il Libano del sud. Fu l’inizio di 33 lunghi giorni di terrore e di morte, soprattutto tra i civili (donne e bambini) libanesi. E proprio una donna e un bambino, Maha e Karim, dispersi dopo i bombardamenti israeliani nel piccolo villaggio di Kherbet Selem, spingeranno la protagonista del film, Zeina (sciita libanese trasferitasi a Dubai), a ritornare in patria per cercare la sorella (Maha) e il figlio (Karim). Ma come mai Karim si trovava dalla zia Maha nel sud del Libano e non con la madre? Perché Zeina, in procinto di divorziare da un marito sempre più distante e assente (e non è un caso che durante il film lo si senta solo parlare al cellulare con la moglie, senza mai vederlo in volto), aveva deciso di allontanare il figlio dal possibile trauma di un divorzio in famiglia. Mai Zeina avrebbe pensato alla possibilità di un’altra guerra in terra libanese capace di mettere in pericolo la vita del piccolo e della zia. L’ennesima guerra capace di mietere altre 1189 vittime civili, molte sepolte sotto le macerie delle proprie case, alle quali si somma quasi un milione di rifugiati. Ma proprio questo è avvenuto nell’estate del 2006, spingendo così il regista Aractingi, dieci giorni dopo l’inizio dei bombardamenti israeliani, a imbracciare la macchina da presa e a riprendere letteralmente sotto le bombe la devastazione del suo paese. Solo due attori professionisti a recitare, Nada Abou Farhat (nel ruolo di Zeina) e Georges Khabbaz (molto bravo nell’interpretare le paure e le ambizioni del giovane tassista Tony), circondati da rifugiati, giornalisti, militari, insomma tutte persone vere che all’epoca dei fatti subivano a loro modo la guerra in terra libanese. Proprio nello scontro (prima) e nell’incontro (dopo) di Zeina con Tony, l’unico tassista offertosi ad accompagnarla nel sud del paese in cerca della sorella e del figlio, si cela lo spirito intimista del film Sotto le bombe, che cerca cosi, attraverso il rapporto tra due caratteri in parte diversi (Zeina sciita, Tony cristiano), di sminuire queste legittime differenze, non rinunciando perciò a mostrare la crescente solidarietà umana che s’instaurerà tra i due, durante il loro viaggio lungo le strade di un Libano in macerie. Perché, come ha ribadito Philippe Aractingi, "Questo non è un film che prende posizione. E’ un film che parla della sofferenza degli innocenti", e dinanzi a vittime innocenti, sembra suggerirci il regista, non c’è alcuna ideologia o religione che tenga. Perché alla fine sotto le bombe si muore, e da morti siamo tutti uguali. Un film duro e a tratti poetico, che difficilmente può lasciare indifferenti.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Tutti i bambini hanno sogni,
a volte incubi.
Per i bambini palestinesi solo incubi,
ma non stanno affatto dormendo,
vedi:

http://guerrillaradio.iobloggo.com/archive.php?eid=1716