Cosa può spingere uno scrittore di successo a ritirarsi dalle luci della ribalta, a soli 46 anni, senza più farsi vedere e sentire fino alla morte? Cosa sarà mai passato nella mente di quell'uomo, che con un solo romanzo riuscì ad imporsi tra i capisaldi della letteratura americana insieme a Mark Twain e Francis Scott Fitzgerald? Stiamo parlando di J.D. Salinger, autore di uno dei libri più amati da generazioni di lettori in giro per il mondo, quel Giovane Holden (The Catcher in the Rye nella versione originale) ancora sulla bocca di tanti aspiranti scrittori desiderosi di scrivere come solo Salinger sapeva scrivere.
A 91 anni ci ha lasciato con un dubbio: in tutti questi anni di isolamento avrà scritto qualche altro romanzo? Molti se lo stanno chiedendo, e le ipotesi sono le più varie. C'è chi pensa che Salinger non abbia scritto nemmeno una riga, chi invece teme che lo scrittore abbia deciso di bruciare tutto prima di morire, e chi addirittura ipotizza uno scenario alla Shining. Vi ricordate cosa faceva Jack Nicholson/Jack Torrance nel film diretto da Stanley Kubrick? Scriveva sempre la stessa frase su quel suo foglio bianco. Ipotesi forse troppo fantasiosa, magari utile ad alleviare la voglia irrefrenabile di stringere tra le mani una nuova opera di Salinger nella speranza, prima o poi, che da qualche cassetto impolverato esca fuori.
Per consolarci basterebbe anche solo riaprire le pagine di quel The Catcher in the Rye pubblicato nel 1951, con un giovane Holden Caulfield a narrare in prima persona le sue disavventure scolastiche e non, alla ricerca di un proprio spazio nel mondo. E fu subito bestseller, grazie ad una comprensione dell'universo adolescenziale che ne rese la lettura quasi un immancabile rito di passaggio.
I critici elogiarono ancor di più i Nove racconti, pubblicati nel 1953, perfetti nel catturare i dialoghi della gente comune. Lo scrittore, infatti, sapeva far parlare i suoi protagonisti così come avrebbero parlato nella realtà di tutti i giorni. Forse per questo Dave Eggers ha ammesso di servirsi degli scritti di Salinger per mostrare ai propri studenti quanto sia importante cosa dicono i personaggi, e ancor di più come lo dicono.
«C'è una meravigliosa pace nel non pubblicare, pubblicare è una fastidiosa invasione della mia privacy - disse Salinger a un reporter - Mi piace scrivere, adoro scrivere. Ma scrivo solo per me stesso». Visse così per oltre cinquant'anni nel suo rifugio all'ombra del mondo, tra le campagne di Cornish nel New Hampshire. Nell'autunno del 1953 fece amicizia con alcuni ragazzi e permise loro di intervistarlo per un articolo che lui pensava sarebbe stato relegato nelle pagine interne del giornale locale The Claremont Daily Eagle: l'articolo apparve però nella pagina degli editoriali e, sentendosi imbrogliato, tagliò i contatti con quei ragazzi.
Un po' come fece con i suoi lettori, orfani per mezzo secolo del loro migliore amico e scrittore, di quella razza che vorresti poter «chiamare al telefono tutte le volte che ti gira». «Grazie a Dio è finalmente morto. Stavo aspettando questo giorno da sempre. Stasera si festeggia», ha scritto invece lo scrittore Bret Easton Ellis su Twitter, volendo a modo suo rendere omaggio ad un autore tanto amato quanto odiato, e mai ignorato. A maggior ragione dopo la morte. Riposa in pace giovane Salinger.
A 91 anni ci ha lasciato con un dubbio: in tutti questi anni di isolamento avrà scritto qualche altro romanzo? Molti se lo stanno chiedendo, e le ipotesi sono le più varie. C'è chi pensa che Salinger non abbia scritto nemmeno una riga, chi invece teme che lo scrittore abbia deciso di bruciare tutto prima di morire, e chi addirittura ipotizza uno scenario alla Shining. Vi ricordate cosa faceva Jack Nicholson/Jack Torrance nel film diretto da Stanley Kubrick? Scriveva sempre la stessa frase su quel suo foglio bianco. Ipotesi forse troppo fantasiosa, magari utile ad alleviare la voglia irrefrenabile di stringere tra le mani una nuova opera di Salinger nella speranza, prima o poi, che da qualche cassetto impolverato esca fuori.
Per consolarci basterebbe anche solo riaprire le pagine di quel The Catcher in the Rye pubblicato nel 1951, con un giovane Holden Caulfield a narrare in prima persona le sue disavventure scolastiche e non, alla ricerca di un proprio spazio nel mondo. E fu subito bestseller, grazie ad una comprensione dell'universo adolescenziale che ne rese la lettura quasi un immancabile rito di passaggio.
I critici elogiarono ancor di più i Nove racconti, pubblicati nel 1953, perfetti nel catturare i dialoghi della gente comune. Lo scrittore, infatti, sapeva far parlare i suoi protagonisti così come avrebbero parlato nella realtà di tutti i giorni. Forse per questo Dave Eggers ha ammesso di servirsi degli scritti di Salinger per mostrare ai propri studenti quanto sia importante cosa dicono i personaggi, e ancor di più come lo dicono.
«C'è una meravigliosa pace nel non pubblicare, pubblicare è una fastidiosa invasione della mia privacy - disse Salinger a un reporter - Mi piace scrivere, adoro scrivere. Ma scrivo solo per me stesso». Visse così per oltre cinquant'anni nel suo rifugio all'ombra del mondo, tra le campagne di Cornish nel New Hampshire. Nell'autunno del 1953 fece amicizia con alcuni ragazzi e permise loro di intervistarlo per un articolo che lui pensava sarebbe stato relegato nelle pagine interne del giornale locale The Claremont Daily Eagle: l'articolo apparve però nella pagina degli editoriali e, sentendosi imbrogliato, tagliò i contatti con quei ragazzi.
Un po' come fece con i suoi lettori, orfani per mezzo secolo del loro migliore amico e scrittore, di quella razza che vorresti poter «chiamare al telefono tutte le volte che ti gira». «Grazie a Dio è finalmente morto. Stavo aspettando questo giorno da sempre. Stasera si festeggia», ha scritto invece lo scrittore Bret Easton Ellis su Twitter, volendo a modo suo rendere omaggio ad un autore tanto amato quanto odiato, e mai ignorato. A maggior ragione dopo la morte. Riposa in pace giovane Salinger.
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