Ognuno porta la sua croce sulle spalle. Lo sa bene Enzo (Vincenzo Motta) che per 27 anni ha vissuto in carcere dove - chi l'avrebbe mai detto - ha incontrato l'amore. Un amore tutto particolare, fuori dall'ordinario ma sincero e appassionato come pochi. Un amore che si chiama Mary (Mary Monaco), oltre i tabù della nostra società che vede nel diverso qualcosa da cui scappare. Lei è, infatti, un lui, un transessuale innamoratosi di un uomo rude con sprazzi di tenerezza. I due innamorati sono i protagonisti dello splendido documentario La bocca del lupo diretto da Pietro Marcello (vincitore come miglior film all'ultimo Torino Film Festival), in collaborazione con la Fondazione San Marcellino dei gesuiti, che da anni assiste gli emarginati della città.
Enzo ha finito di scontare la sua pena dietro le sbarre e fa ritorno nella sua città d'adozione, Genova, dove l'aspetta Mary e un piccolo grande sogno in comune: andare a vivere in una casetta in campagna, sopra la città e il mare, quasi a voler contemplare un paesaggio in continua mutazione come la loro vita insieme. Enzo e Mary, infatti, non hanno sempre vissuto vicini; conosciutisi in carcere, per anni si sono sentiti dentro e fuori le sbarre attraverso delle registrazioni su cassetta (che Pietro Marcello ci fa sentire durante il film). Quegli pseudo messaggi in bottiglia hanno permesso alla coppia di restare fedele a se stessa nonostante la lontananza.
Sullo sfondo assistiamo alle immagini di repertorio di una Genova ormai scomparsa, ripresa da cineoperatori amatoriali che sono riusciti a catturare l'anima di una città sospesa tra terra e mare. Il merito del regista è di aver fatto un po' di archeologia della memoria attraverso il mezzo cinematografico, per riscoprire lo stato attuale di un luogo tramite il racconto di una storia (in questo caso d'amore) esemplare. Perché una città è la summa di piccole e grandi storie quasi tutte consumatesi all'ombra della Storia, che una volta rivelate - come quella di Enzo e Mary - ci aprono squarci di realtà altrimenti invisibili.
«Il mio sguardo sul presente - dice Pietro Marcello - è quello di un forestiero che racconta ciò che vede dalla finestra, lo sguardo sul passato e sulla grande Storia è rappresentato dai genovesi che silenziosamente sono riusciti a raccontarla attraverso l'oculare di una cinepresa». Un capolavoro italiano da non perdere, sulle orme del miglior Pasolini.
Enzo ha finito di scontare la sua pena dietro le sbarre e fa ritorno nella sua città d'adozione, Genova, dove l'aspetta Mary e un piccolo grande sogno in comune: andare a vivere in una casetta in campagna, sopra la città e il mare, quasi a voler contemplare un paesaggio in continua mutazione come la loro vita insieme. Enzo e Mary, infatti, non hanno sempre vissuto vicini; conosciutisi in carcere, per anni si sono sentiti dentro e fuori le sbarre attraverso delle registrazioni su cassetta (che Pietro Marcello ci fa sentire durante il film). Quegli pseudo messaggi in bottiglia hanno permesso alla coppia di restare fedele a se stessa nonostante la lontananza.
Sullo sfondo assistiamo alle immagini di repertorio di una Genova ormai scomparsa, ripresa da cineoperatori amatoriali che sono riusciti a catturare l'anima di una città sospesa tra terra e mare. Il merito del regista è di aver fatto un po' di archeologia della memoria attraverso il mezzo cinematografico, per riscoprire lo stato attuale di un luogo tramite il racconto di una storia (in questo caso d'amore) esemplare. Perché una città è la summa di piccole e grandi storie quasi tutte consumatesi all'ombra della Storia, che una volta rivelate - come quella di Enzo e Mary - ci aprono squarci di realtà altrimenti invisibili.
«Il mio sguardo sul presente - dice Pietro Marcello - è quello di un forestiero che racconta ciò che vede dalla finestra, lo sguardo sul passato e sulla grande Storia è rappresentato dai genovesi che silenziosamente sono riusciti a raccontarla attraverso l'oculare di una cinepresa». Un capolavoro italiano da non perdere, sulle orme del miglior Pasolini.
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