giovedì 13 maggio 2010

Il ladro di parole

Mark Trace non è ancora maggiorenne quando comincia a coltivare il sogno di una vita: diventare uno scrittore. Sin da piccolo ha un talento innato: riesce senza alcuna fatica ad imitare alla perfezione lo stile degli autori che legge voracemente. La prima volta gli capitò a scuola con Charles Dickens, ma il prof se ne accorse e il manoscritto del giovane scrittore rampante finì in mille pezzi nel cestino. Così inizia l'avvincente romanzo L'inedito di Hemingway. Un intrigo letterario (Isbn Edizioni) scritto da David Belbin, uno dei più popolari scrittori inglesi di narrativa per ragazzi, qui alla prova con il suo primo libro per adulti.

Quando Mark ci riprova, a fare il verso ad uno dei suoi autori preferiti, Ernest Hemingway, questa volta gli va meglio. Di stanza a Parigi riesce a spacciare casualmente - e qui l'amore ci metterà lo zampino - quel suo falso scritto di Hemingway per uno dei manoscritti che lo scrittore americano smarrì tempo indietro a causa della moglie. Ad approfittarne per farsi un po' di soldi è il padre di Helen, la ragazza alla quale Mark dà lezioni di inglese. Il giovane protagonista cerca di cavarsela come può tra l'università che non gli va proprio a genio, e la madre che di lì a poco morirà lasciandolo in una solitudine fatta di libri e speranze. Decide così di iniziare una nuova vita a Londra, dove riuscirà a strappare una collaborazione (gratuita) con la Little Review, una rivista di libri sull'orlo del fallimento.

Quale miglior occasione per risollevare le sorti in edicola della sua piccola creatura di carta, spacciando alcuni dei suoi falsi racconti per quelli inediti di grandi autori del passato? Il gioco apparentemente funziona, e il lettore segue con trepidazione l'evolversi della scommessa editoriale di Mark. «Avevo passato tutta la vita a sentirmi invisibile - pensa tra sé il giovane aspirante scrittore - Credevo che scrivere fosse un modo per realizzarmi, ma finora mi aveva solo reso ancora più invisibile».

Al di là della trama, il romanzo di David Belbin affascina soprattutto per le sottotracce di carattere letterario affrontate sullo sfondo delle vicende narrate: che vuol dire essere uno scrittore? Come fare per diventarlo? È possibile fingere, senza farsene accorgere, quando si scrive? È vero che «i cattivi scrittori copiano» mentre «i buoni scrittori rubano»? Di certo L'inedito di Hemingway non vuole dare tutte le risposte a queste domande, evidenziando però come la vita resta dopo tutto «un soggetto inesauribile» da cui attingere, e che spesso «la fortuna e il tempismo sono molto più importanti del talento». Lo sa bene Mark che ha saputo cogliere, finché ha potuto, l'occasione di una vita pur rischiando di perdere tutto in un attimo.

«La verità di un uomo è in quello che non dice», si legge in una biografia di Ernest Hemingway. Mark Trace, l'eterno simulatore protagonista di questo libro a metà tra thriller e romanzo di formazione, la sua verità ce la racconta in prima persona nella consapevolezza che «nessuno trova la sua voce e tutti rubano quella di qualcun altro e la migliorano». Talento permettendo, naturalmente.

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