di Paolo Massa
Per spiegare chi è Giorgio Fornoni diamo la parola a Giorgio Fornoni, che in un'intervista a Stefano Lorenzetto su Il Giornale ha detto: "Sono un viandante della vita, forse un pellegrino". Per capire ancora meglio, Chiarelettere ha da poco pubblicato un cofanetto dedicato al reporter scoperto qualche anno fa da Milena Gabanelli, un giornalista senza tesserino e amante dei viaggi alla ricerca della sofferenza che il resto del mondo dimentica troppo in fretta.
Il motto di Fornoni è uno solo: "Stare vicino all'umanità che soffre". Una filosofia di vita che si intuisce bene dal bel documentario di Gianandrea Tintori dal titolo Ai confini del mondo, ad evidenziare ancor meglio la specificità di un reporter sui generis capace di andare ovunque a scovare pezzi di umanità violata, soprattutto negli invisibili (agli occhi distratti dei media tradizionali) angoli martoriati della Terra.
Partendo da Ardesio, piccolo paese in provincia di Bergamo tra le montagne della Val Seriana, è lo stesso Giorgio Fornoni ad accompagnarci per mano nel suo mondo fatto di silenzi e riflessioni lontano dal caos delle grandi città. Ed è proprio ad Ardesio che il reporter senza confini è ritornato per fare il sindaco e per portare un pizzico del suo sogno di umanità anche nel recinto della politica. Come scrive nel libro allegato al cofanetto lo storico, nonché amico di Giorgio, Valerio Massimo Manfredi: "Fornoni è abbastanza pazzo da credere che gli ideali possano prendere corpo". Quella stessa dose (minima) di pazzia mista a coraggio che ha permesso al giornalista di battere nel corso degli anni i teatri di guerra, e di ingiustizia sociale, più pericolosi al mondo: dall'Afghanistan all'Angola in agitazione per i brogli elettorali, dal Kurdistan al Perù del traffico di cocaina, dalla Cambogia alla Liberia della guerriglia urbana, dalla Cecenia in stato d'assedio all'Eritrea in conflitto contro l'Etiopia, fino al Congo dello sfruttamento selvaggio delle preziose materie prime e alla Cina, all'Iran e agli Stati Uniti della pena di morte legalizzata.
Viaggi al termine della speranza, dove Giorgio Fornoni ha cercato di testimoniare con l'inseparabile telecamera la verità che ha origine dalla sofferenza. Una verità sulle guerre che, secondo il reporter di Ardesio, sono tutte uguali, sempre alla presenza di due nemici a contendersi il potere e la povera gente costretta a pagare il prezzo più alto. Ed è in questi scenari tragici che si inserisce alla perfezione il reportage dal volto umano di Giorgio Fornoni, al quale interessa molto di più mostrare i visi di quella sofferenza anziché perdersi in pompose analisi geopolitiche spesso fini a se stesse.
E il ritorno nella sua Ardesio diventa così un modo per ripartire alla ricerca di nuove storie non raccontate, perché "quando vedi l'uomo che soffre - ammette Fornoni - non puoi tornare a casa e dimenticare". Questo è il bello del mestiere più affascinante del mondo, il mestiere del reporter libero, sempre pronto a seguire le passioni del proprio cuore e senza mai perdere ciò che l'umanità ha di più prezioso: la speranza.
Il motto di Fornoni è uno solo: "Stare vicino all'umanità che soffre". Una filosofia di vita che si intuisce bene dal bel documentario di Gianandrea Tintori dal titolo Ai confini del mondo, ad evidenziare ancor meglio la specificità di un reporter sui generis capace di andare ovunque a scovare pezzi di umanità violata, soprattutto negli invisibili (agli occhi distratti dei media tradizionali) angoli martoriati della Terra.
Partendo da Ardesio, piccolo paese in provincia di Bergamo tra le montagne della Val Seriana, è lo stesso Giorgio Fornoni ad accompagnarci per mano nel suo mondo fatto di silenzi e riflessioni lontano dal caos delle grandi città. Ed è proprio ad Ardesio che il reporter senza confini è ritornato per fare il sindaco e per portare un pizzico del suo sogno di umanità anche nel recinto della politica. Come scrive nel libro allegato al cofanetto lo storico, nonché amico di Giorgio, Valerio Massimo Manfredi: "Fornoni è abbastanza pazzo da credere che gli ideali possano prendere corpo". Quella stessa dose (minima) di pazzia mista a coraggio che ha permesso al giornalista di battere nel corso degli anni i teatri di guerra, e di ingiustizia sociale, più pericolosi al mondo: dall'Afghanistan all'Angola in agitazione per i brogli elettorali, dal Kurdistan al Perù del traffico di cocaina, dalla Cambogia alla Liberia della guerriglia urbana, dalla Cecenia in stato d'assedio all'Eritrea in conflitto contro l'Etiopia, fino al Congo dello sfruttamento selvaggio delle preziose materie prime e alla Cina, all'Iran e agli Stati Uniti della pena di morte legalizzata.
Viaggi al termine della speranza, dove Giorgio Fornoni ha cercato di testimoniare con l'inseparabile telecamera la verità che ha origine dalla sofferenza. Una verità sulle guerre che, secondo il reporter di Ardesio, sono tutte uguali, sempre alla presenza di due nemici a contendersi il potere e la povera gente costretta a pagare il prezzo più alto. Ed è in questi scenari tragici che si inserisce alla perfezione il reportage dal volto umano di Giorgio Fornoni, al quale interessa molto di più mostrare i visi di quella sofferenza anziché perdersi in pompose analisi geopolitiche spesso fini a se stesse.
E il ritorno nella sua Ardesio diventa così un modo per ripartire alla ricerca di nuove storie non raccontate, perché "quando vedi l'uomo che soffre - ammette Fornoni - non puoi tornare a casa e dimenticare". Questo è il bello del mestiere più affascinante del mondo, il mestiere del reporter libero, sempre pronto a seguire le passioni del proprio cuore e senza mai perdere ciò che l'umanità ha di più prezioso: la speranza.
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