lunedì 29 giugno 2009
domenica 28 giugno 2009
sabato 27 giugno 2009
venerdì 26 giugno 2009
giovedì 25 giugno 2009
mercoledì 24 giugno 2009
martedì 23 giugno 2009
L'abusivo, di Antonio Franchini
"Capita ogni tanto di pensare: mentre io sto facendo questo, mentre nuoto, mentre mangio, mentre mi scalda il sole, in questo stesso momento da qualche parte qualcuno soffre un lutto, ha un incidente, qualcuno nasce, qualcuno fa l'amore, ognuno fa una parte che prima o poi spetta anche agli altri. Qualcun altro, invece, lo ammazzano".
L'Impero, di Gigi Di Fiore
"Era il 18 maggio 2008, Lella salì sul palco di piazza Villa a Casal di Principe accanto a Manganelli. Era lei la prescelta a rappresentare la voce degli studenti di Casale. Lei, unica figlia femmina di una famiglia che vive del suo lavoro con un padre operaio e la mamma casalinga. E Lella, senza ipocrisie, si rivolse a quegli importanti interlocutori, tutti attenti e silenziosi: Quel che ci manca non è la straordinarietà degli eventi in questo periodo. Ci manca la normalità di essere cittadini, di essere giovani"
sabato 20 giugno 2009
venerdì 19 giugno 2009
Terminator Salvation, di McG
••½
Il “Giorno del Giudizio” è arrivato. La lotta tra il Bene e il Male, per decidere le sorti della nostra Terra, è in mano a un gruppo di esseri umani sopravvissuti alla distruzione nucleare. Da allora il mondo è in balia dei Terminator, macchine da guerra controllate dall’intelligenza artificiale denominata Skynet. Questo il contesto di partenza del quarto (o sarebbe meglio dire del nuovo) capitolo, Terminator Salvation, del ciclo cinematografico creato e diretto per la prima volta nel 1984 dal regista James Cameron.Ora, invece, sotto la direzione di McG, con un bel salto nel futuro – ci troviamo nell’anno 2018 – assistiamo alla visione di una Terra ormai devastata dalla brutale battaglia tra la resistenza, le cui uniche speranze sono riposte in John Connor (Christian Bale), e la schiera di Terminator pronti ad uccidere il padre di Connor, quel Kyle Reese che nel primo film diretto da Cameron veniva dal futuro (l’anno 2029) proprio per salvare la vita a Sarah Connor, nel mirino del cyborg interpretato all’epoca dall’attuale governatore della California Arnold Schwarzenegger.
Anche qui abbiamo un balzo dal passato al presente e viceversa, con la prima sequenza che ci mostra il condannato a morte Marcus Wright (un ottimo Sam Worthington) dare il proprio consenso al trattamento del suo corpo per scopi scientifici. La promessa è quella di poter tornare un giorno a rivivere, ma al momento della “resurrezione” – dopo un periodo di ibernazione – Marcus si troverà proprio nel bel mezzo della guerra tra ribelli e Terminator. Un altro rimando al passato è rappresentato dalla registrazione del messaggio vocale che Sarah Connor lasciò al figlio per dargli informazioni sul padre Kyle Reese, che nel 2018 è ancora un ragazzino. Sarà proprio Marcus a rintracciarlo in una Los Angeles completamente distrutta, e quando s’incontrerà/scontrerà con John Connor deciderà di aiutare il leader dei ribelli a impedire l’uccisione di Kyle.
Il film, almeno nella prima parte, riesce bene a rendere visivamente il paesaggio devastato di una Terra in balia di Skynet, anche se a lungo andare i sin troppo roboanti (e fini a se stessi) effetti speciali, non tanto funzionali alla storia quanto capaci di stordire le orecchie (e gli occhi) dello spettatore, finiscono per evidenziare ancor di più le mancanze della sceneggiatura, a tratti un tantino scontata nei dialoghi e priva di un adeguato scavo psicologico dei personaggi.
Meritorio, invece, il tentativo di dare linfa vitale ad una saga che fa di questo nuovo capitolo l’inizio di una trilogia tutta ambientata nel futuro. Perché se la battaglia tra Resistenza e Skynet si conclude in Terminator Salvation, la guerra è ancora lontana dall’arrestare la sua violenta scia di morte e disperazione. Sarà davvero l'inizio della fine?
Uomini che odiano le donne, di N.A. Oplev
•••½
Dopo il grande successo editoriale della trilogia Millenium firmata da Stieg Larsson, è arrivata al cinema, per la regia di Niels Arden Oplev, la trasposizione del primo libro Uomini che odiano le donne. Il film rispetta in pieno i canoni del genere thriller: avvincente, misterioso, ricco di colpi di scena, e soprattutto con dei personaggi non scontati, quasi mai banali, e perlopiù anche ben caratterizzati.
Paradossalmente, il più carente per quanto riguarda la caratterizzazione in fase di sceneggiatura sembra essere proprio il protagonista maschile, il giornalista economico Mikael Blomkvist (Michael Nyqvist) alle prese, all’inizio della pellicola, con una denuncia per diffamazione che lo costringerà a un periodo di detenzione. Prima, però, ha il tempo, in attesa di scontare la pena, di essere ingaggiato dal ricco industriale Henrik Vanger per scoprire il colpevole, dopo ben quaranta anni, della scomparsa della nipote Harriet. Ecco, dunque, il mistero che attanaglierà fino all’ultimo l’attenzione dello spettatore, alle prese con la difficile indagine nella quale verrà coinvolta l’altra protagonista del film. Per la serie “E’ nata una stella”, stiamo parlando della conturbante, misteriosa e dark Lisbeth Salander (interpretata da una sorprendente Noomi Rapace). Non a caso è suo il volto inserito nella locandina promozionale del film, quasi a voler avvertire lo spettatore che l’eroina è lei e solo lei. I due, Mikael e Lisbeth (che per quasi metà film non s’incroceranno nemmeno), danno vita a una nuova coppia cinematografica che, in attesa degli altri due capitoli della trilogia (La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta), di certo entrerà nelle grazie dei fan più accaniti del cinema thriller.
Senza svelare lo sviluppo dell’indagine in terra di Svezia, terzo personaggio aggiunto alla storia con incantevoli paesaggi innevati a fare da contrappunto ai segreti inconfessabili della società svedese (e il titolo sugli “uomini che odiano le donne” è un forte indizio), la pellicola sa affascinare con un buon mix di intrattenimento e introspezione, senza però scardinare i canoni del genere. Forse è questo l’unico punto debole del film, che di certo non entrerà negli annali della Settima Arte ma che con un certo mestiere riesce comunque a divertire senza banalità il pubblico in sala.
Paradossalmente, il più carente per quanto riguarda la caratterizzazione in fase di sceneggiatura sembra essere proprio il protagonista maschile, il giornalista economico Mikael Blomkvist (Michael Nyqvist) alle prese, all’inizio della pellicola, con una denuncia per diffamazione che lo costringerà a un periodo di detenzione. Prima, però, ha il tempo, in attesa di scontare la pena, di essere ingaggiato dal ricco industriale Henrik Vanger per scoprire il colpevole, dopo ben quaranta anni, della scomparsa della nipote Harriet. Ecco, dunque, il mistero che attanaglierà fino all’ultimo l’attenzione dello spettatore, alle prese con la difficile indagine nella quale verrà coinvolta l’altra protagonista del film. Per la serie “E’ nata una stella”, stiamo parlando della conturbante, misteriosa e dark Lisbeth Salander (interpretata da una sorprendente Noomi Rapace). Non a caso è suo il volto inserito nella locandina promozionale del film, quasi a voler avvertire lo spettatore che l’eroina è lei e solo lei. I due, Mikael e Lisbeth (che per quasi metà film non s’incroceranno nemmeno), danno vita a una nuova coppia cinematografica che, in attesa degli altri due capitoli della trilogia (La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta), di certo entrerà nelle grazie dei fan più accaniti del cinema thriller.
Senza svelare lo sviluppo dell’indagine in terra di Svezia, terzo personaggio aggiunto alla storia con incantevoli paesaggi innevati a fare da contrappunto ai segreti inconfessabili della società svedese (e il titolo sugli “uomini che odiano le donne” è un forte indizio), la pellicola sa affascinare con un buon mix di intrattenimento e introspezione, senza però scardinare i canoni del genere. Forse è questo l’unico punto debole del film, che di certo non entrerà negli annali della Settima Arte ma che con un certo mestiere riesce comunque a divertire senza banalità il pubblico in sala.
Star Trek, di J.J. Abrams
•••½
J.J. Abrams ha fatto centro. Il suo Star Trek – Il futuro ha inizio, prequel del primo viaggio spaziale della famosa astronave Enterprise della serie tv del 1966, è proprio un bel giocattolino cinematografico. Avvincente e visionario quanto basta per farci immergere anima e corpo nelle battaglie intergalattiche che vedono per la prima volta protagonisti Kirk (Chris Pine) e Spock (Zachary Quinto), insieme questa volta nel combattere contro la minaccia di Nero (Eric Bana).
Il maggior punto di forza sono proprio i personaggi, ben caratterizzati e con un’umanità capace di farci immedesimare con le loro scelte di campo. Kirk più istintivo e Spock (per metà vulcaniano) molto più razionale, entrambi dovranno alla fine ammettere in qualche modo di aver imparato qualcosa dall’altro. E proprio in questo incontro/scontro tra i due il film riesce a divertire, e non solo con la forza degli effetti speciali (mai esagerati e funzionali alla storia), ma anche attraverso dialoghi che sanno caratterizzare in maniera comica i rapporti di forza tra l’equipaggio dell’ Enterprise.
Non manca l’azione con sequenze mozzafiato davvero ben girate, degne di questo ennesimo passaggio al cinema della celebre saga fantascientifica che tanto successo ebbe sul piccolo schermo. Consigliato anche a chi non ha mai visto un episodio della serie televisiva e dei film precedenti, anzi soprattutto a loro. A conferma della buona riuscita del prequel di Star Trek firmato da J.J. Abrams, ottimamente in equilibrio tra tradizione e modernità.
Il maggior punto di forza sono proprio i personaggi, ben caratterizzati e con un’umanità capace di farci immedesimare con le loro scelte di campo. Kirk più istintivo e Spock (per metà vulcaniano) molto più razionale, entrambi dovranno alla fine ammettere in qualche modo di aver imparato qualcosa dall’altro. E proprio in questo incontro/scontro tra i due il film riesce a divertire, e non solo con la forza degli effetti speciali (mai esagerati e funzionali alla storia), ma anche attraverso dialoghi che sanno caratterizzare in maniera comica i rapporti di forza tra l’equipaggio dell’ Enterprise.
Non manca l’azione con sequenze mozzafiato davvero ben girate, degne di questo ennesimo passaggio al cinema della celebre saga fantascientifica che tanto successo ebbe sul piccolo schermo. Consigliato anche a chi non ha mai visto un episodio della serie televisiva e dei film precedenti, anzi soprattutto a loro. A conferma della buona riuscita del prequel di Star Trek firmato da J.J. Abrams, ottimamente in equilibrio tra tradizione e modernità.
Antichrist, di Lars Von Trier
•½
Raccontare delle storie al cinema significa volerle (e saperle) condividere con il proprio pubblico. Quello che non è riuscito al regista Lars Von Trier nel suo Antichrist, presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes. Ogni regista ha l’esigenza di filmare su pellicola le ossessioni che più lo spingono ad esprimersi con il mezzo cinematografico, e nel caso del controverso regista danese l’ossessione ai limiti della pazzia è al centro della conturbante storia da lui narrata.
Antichrist parte da subito col turbo, mostrandoci i due attori, Williem Dafoe e Charlotte Gainsbourg (nel film marito e moglie), impegnati in un’appassionata sequenza di sesso (sulle note di Lascia ch’io pianga di Handel). Il figlioletto, intanto, arrampicandosi sul davanzale cade accidentalmente e noi spettatori assistiamo al ralenti della sua inevitabile morte. Non tanto inevitabile per la madre, che non riesce a darsi pace per il tragico evento. Da qui inizia il viaggio fisico e metafisico della coppia, alla ricerca di una nuova pace difficile da trovare dopo il dolore per la perdita del figlio.
I due decidono così, anche grazie al marito di professione psicoterapeuta, di rifugiarsi nel bosco dove trascorsero l’ultima vacanza insieme al bambino. Quel bosco diventerà il luogo dell’azione dei protagonisti, più che un punto geografico un luogo dell’anima (della donna) quasi a rappresentarne la mente contorta e impaurita dalle sue ossessioni. Assistiamo così al lento dipanarsi della terapia alla quale il marito decide, giorno dopo giorno, di sottoporre la moglie nel tentativo di liberarla dai sensi di colpa. Ben presto, però, “la verità sarà rivelata” – come dice anche il trailer italiano del film – e allora i rapporti di forza cambieranno, e la violenza inaudita mostrata da Von Trier prenderà inevitabilmente il sopravvento.
A quale scopo? Lo spettatore se lo chiede invano senza riuscire a darsi una risposta concreta. Perché ostentare una violenza ai limiti della sopportazione visiva, così gratuita da risultare ancor più disturbante? Indubbiamente la bellezza formale delle immagini rende Antichrist un buon film, ma quanto conta alla fine avere un bel contenitore vuoto però di contenuti quantomeno sensati e fruibili dal pubblico?
Antichrist parte da subito col turbo, mostrandoci i due attori, Williem Dafoe e Charlotte Gainsbourg (nel film marito e moglie), impegnati in un’appassionata sequenza di sesso (sulle note di Lascia ch’io pianga di Handel). Il figlioletto, intanto, arrampicandosi sul davanzale cade accidentalmente e noi spettatori assistiamo al ralenti della sua inevitabile morte. Non tanto inevitabile per la madre, che non riesce a darsi pace per il tragico evento. Da qui inizia il viaggio fisico e metafisico della coppia, alla ricerca di una nuova pace difficile da trovare dopo il dolore per la perdita del figlio.
I due decidono così, anche grazie al marito di professione psicoterapeuta, di rifugiarsi nel bosco dove trascorsero l’ultima vacanza insieme al bambino. Quel bosco diventerà il luogo dell’azione dei protagonisti, più che un punto geografico un luogo dell’anima (della donna) quasi a rappresentarne la mente contorta e impaurita dalle sue ossessioni. Assistiamo così al lento dipanarsi della terapia alla quale il marito decide, giorno dopo giorno, di sottoporre la moglie nel tentativo di liberarla dai sensi di colpa. Ben presto, però, “la verità sarà rivelata” – come dice anche il trailer italiano del film – e allora i rapporti di forza cambieranno, e la violenza inaudita mostrata da Von Trier prenderà inevitabilmente il sopravvento.
A quale scopo? Lo spettatore se lo chiede invano senza riuscire a darsi una risposta concreta. Perché ostentare una violenza ai limiti della sopportazione visiva, così gratuita da risultare ancor più disturbante? Indubbiamente la bellezza formale delle immagini rende Antichrist un buon film, ma quanto conta alla fine avere un bel contenitore vuoto però di contenuti quantomeno sensati e fruibili dal pubblico?
Vincere, di Marco Bellocchio
•••
All'inizio di Vincere di Marco Bellocchio, film presentato in concorso all'ultimo Festival di Cannes, è puro cinema ad incantare gli occhi dello spettatore. Non si parla tanto nelle prime sequenze, ma sono le immagini, la splendida fotografia di Daniele Ciprì e la sontuosa colonna sonora a raccontarci l'incontro a Trento tra un giovane Benito Mussolini (Filippo Timi) - all'epoca ancora convinto socialista e anticlericale, nonché direttore del quotidiano "Avanti!" - e la sua prima (presunta) moglie Ida Dalser (Giovanna Mezzogiorno). Tra baci appassionati e accalorate scene di sesso, si consuma così la loro storia d'amore che all'alba della prima guerra mondiale finirà per sfiorire. Ma non per la cocciuta Ida Dalser, pronta a tutto pur di rivendicare il ruolo di moglie del Duce, e madre del primogenito Benito Albino, anche se storicamente mai nessun certificato di matrimonio confermerà la sua versione.
La pellicola di Bellocchio, criticata in patria e applauditissima a Cannes e sui giornali stranieri, coglie nel segno per il tema trattato, e il dibattito scatenatosi sta lì a dimostrarlo. Partendo dalla storia di una donna tanto innamorata quanto ossessiva e ossessionata dalla figura del "suo" Mussolini, Vincere riesce, almeno nella prima parte, a rappresentare con una certa originalità futurista (vedi le scritte impresse sullo schermo ad esaltare ancor di più l'effetto di rievocazione storica delle immagini di repertorio) il periodo raccontato a ridosso della prima e seconda guerra mondiale.
Il personaggio di un Mussolini ancora sconosciuto alle masse, ma già armato della sua influente retorica, interpretato molto bene da Filippo Timi, regge il confronto con le successive rappresentazioni del Duce attraverso filmati storici, quando nella seconda (e più debole) parte del film il regista si concentra solo sulla parabola declinante di Ida Dalser. E' qui che Vincere inizia a perdere colpi nello sviluppo della storia, troppo ripiegata su sé stessa a raccontarci la poco emozionante discesa della donna negli inferi della pazzia. In realtà pazza non è, ma nel continuare imperterrita a dichiarare a tutti la sua verità, quella di essere la prima moglie del Duce e madre del legittimo erede di Mussolini, suo figlio Benito Albino, finirà per essere rinchiusa in un manicomio dove concluderà tristemente i suoi giorni.
La figura di questa donna ostinata a combattere per i propri diritti, interpretata da una brava Giovanna Mezzogiorno, sembra quasi riassumere in sé quella voglia di non conformarsi al fascismo, che tutto e tutti voleva omologare, presente in parte della società italiana. A tratti sembra di intravedere in Ida Dalser, cinematograficamente parlando, l'Angelina Jolie di "Changeling", entrambe combattive più che mai in nome di un figlio perso e mai ritrovato. Peccato, però, che l'eccessiva ridondanza della seconda parte, quando Mussolini si rivedrà unicamente attraverso la mediazione degli intensi filmati di repertorio, impedisca di provare quel pathos capace di farci avvicinare emotivamente alla tragica vicenda di una donna persasi nei meandri della propria ossessione. Un po' come l'Italia del secondo dopoguerra, persa e distrutta per l'azzardo del Duce ossessionato anch'egli dai suoi assurdi sogni di gloria. A conferma del fatto che la realtà storica in bianco e nero, almeno in questo caso, resta più forte ed emozionante della finzione cinematografica.
La pellicola di Bellocchio, criticata in patria e applauditissima a Cannes e sui giornali stranieri, coglie nel segno per il tema trattato, e il dibattito scatenatosi sta lì a dimostrarlo. Partendo dalla storia di una donna tanto innamorata quanto ossessiva e ossessionata dalla figura del "suo" Mussolini, Vincere riesce, almeno nella prima parte, a rappresentare con una certa originalità futurista (vedi le scritte impresse sullo schermo ad esaltare ancor di più l'effetto di rievocazione storica delle immagini di repertorio) il periodo raccontato a ridosso della prima e seconda guerra mondiale.
Il personaggio di un Mussolini ancora sconosciuto alle masse, ma già armato della sua influente retorica, interpretato molto bene da Filippo Timi, regge il confronto con le successive rappresentazioni del Duce attraverso filmati storici, quando nella seconda (e più debole) parte del film il regista si concentra solo sulla parabola declinante di Ida Dalser. E' qui che Vincere inizia a perdere colpi nello sviluppo della storia, troppo ripiegata su sé stessa a raccontarci la poco emozionante discesa della donna negli inferi della pazzia. In realtà pazza non è, ma nel continuare imperterrita a dichiarare a tutti la sua verità, quella di essere la prima moglie del Duce e madre del legittimo erede di Mussolini, suo figlio Benito Albino, finirà per essere rinchiusa in un manicomio dove concluderà tristemente i suoi giorni.
La figura di questa donna ostinata a combattere per i propri diritti, interpretata da una brava Giovanna Mezzogiorno, sembra quasi riassumere in sé quella voglia di non conformarsi al fascismo, che tutto e tutti voleva omologare, presente in parte della società italiana. A tratti sembra di intravedere in Ida Dalser, cinematograficamente parlando, l'Angelina Jolie di "Changeling", entrambe combattive più che mai in nome di un figlio perso e mai ritrovato. Peccato, però, che l'eccessiva ridondanza della seconda parte, quando Mussolini si rivedrà unicamente attraverso la mediazione degli intensi filmati di repertorio, impedisca di provare quel pathos capace di farci avvicinare emotivamente alla tragica vicenda di una donna persasi nei meandri della propria ossessione. Un po' come l'Italia del secondo dopoguerra, persa e distrutta per l'azzardo del Duce ossessionato anch'egli dai suoi assurdi sogni di gloria. A conferma del fatto che la realtà storica in bianco e nero, almeno in questo caso, resta più forte ed emozionante della finzione cinematografica.
Earth - La nostra Terra
••½
Per chi ama la natura selvaggia, per chi vuole scoprire cosa si nasconde al di là del monotono paesaggio delle nostre città, per chi vuole viaggiare in giro per il mondo da un polo all’altro del pianeta, Earth – La nostra Terra è un film documentario (prodotto dalla Disney) imperdibile. Le riprese sono spettacolari: dagli oceani al ghiaccio artico, dai deserti alle foreste selvagge ricche di una fauna che forse non avremmo nemmeno immaginato potesse esistere. Il tutto proiettato sul grande schermo del cinema, e la magia è fatta.Peccato, però, che nel seguire le storie di alcuni animali – elefanti, orsi polari e balene – si finisca pian piano per annoiarsi dinanzi a immagini mozzafiato per la loro bellezza naturalistica, senza che i registi, Alastair Fothergill e Mark Linfield, riescano a dare un taglio originale attraverso il quale mostrarci le tante forme del nostro variegato pianeta. Questo, purtroppo, vanifica alla fine dei conti lo sforzo di presentare al cinema un film che per essere proiettato sul grande schermo avrebbe dovuto staccarsi un po’ di più dallo stile rassicurante e lineare dei documentari naturalistici televisivi. Un punto di vista diverso, magari incentrato maggiormente sulla crudeltà della natura stessa (presente nella pellicola ma non abbastanza da spiegarne l’effettiva portata nel mondo reale), e privo di un commento (nella versione italiana la voce è di Paolo Bonolis) a volte invasivo e superfluo.
Per il resto, e il discorso vale soprattutto per i bambini presenti in sala, l’occasione di guardare alla natura con occhi e da angolature diversi è tanto ghiotta quanto istruttiva. Encomiabile, comunque, lo sforzo produttivo che ha impegnato le troupe per cinque, lunghi anni in più di 200 location in 64 paesi nel mondo. Un lavoro mastodontico, degno del nostro piccolo, grande pianeta Terra.
mercoledì 17 giugno 2009
sabato 13 giugno 2009
venerdì 12 giugno 2009
domenica 7 giugno 2009
sabato 6 giugno 2009
venerdì 5 giugno 2009
martedì 2 giugno 2009
Listening to...
Il coro dei bambini in questa dolcissima canzone di Yusuf Islam (il fu Cat Stevens) è davvero imperdibile. Il pezzo s'intitola Be what you must, dall'ultimo album Roadsinger. Buon ascolto.
Il giornale ai lettori
Con questa lettera ai lettori del neodirettore della Stampa Mario Calabresi, ho realizzato che il quotidiano di Torino è il migliore (ora come ora) su piazza italiana.
P.S. A proposito di Mario Calabresi: l'ex giornalista di Repubblica e corrispondente dagli Stati Uniti ha scritto un libro, a mio parere, specchio perfetto dei nostri tempi vertiginosi. Il titolo, La fortuna non esiste. Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi, è già tutto un programma. Come dire: Homo Faber Fortunae Suae.
P.S. A proposito di Mario Calabresi: l'ex giornalista di Repubblica e corrispondente dagli Stati Uniti ha scritto un libro, a mio parere, specchio perfetto dei nostri tempi vertiginosi. Il titolo, La fortuna non esiste. Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi, è già tutto un programma. Come dire: Homo Faber Fortunae Suae.
lunedì 1 giugno 2009
Lascia ch'io pianga
All'inizio e alla fine di Antichrist, Lascia ch'io pianga è la cosa migliore dell'ultimo, controverso film di Lars Von Trier.
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