Rivolgendosi ad un gruppo di europei in visita negli Stati Uniti, John Connally, segretario al tesoro del presidente Richard Nixon, disse: “Il dollaro è la nostra valuta, ma è il vostro problema”.
Ha ancora senso questa dichiarazione alla luce della svalutazione che il biglietto verde sta subendo sui mercati internazionali? Basti pensare che mentre nel 2002 l’euro valeva 86 centesimi di dollaro, oggi costa 1 dollaro e 48 centesimi.
Sarà per questo, come ha scritto Giovanni De Mauro su Internazionale, se per il comico Will Durst “ormai è impossibile camminare per le strade di Manhattan senza andare a sbattere contro branchi di stranieri carichi di pacchi e pacchetti. Perché oggi, a New York, i turisti europei si sentono finalmente ricchi, un po’ come degli sceicchi sauditi”.
Quali sono i pro e i contro di questa lenta erosione della valuta a stelle e strisce? Perché di erosione si può parlare, se è vero, come ha ribadito l’ex direttore dell’Economist Bill Emmott (Corriere della Sera, 4-12-2007), che il dollaro rispetto all’euro “dal gennaio 2006 è calato del 20%”.
Di certo, grazie a questa svalutazione che ha dato una spinta alle esportazioni statunitensi, il disavanzo della bilancia commerciale – ovvero la differenza tra importazioni ed esportazioni – è calato dal 7 al 5,5% del Pil, riducendo il deficit che aveva raggiunto il 6% del prodotto interno lordo.
D’altra parte, però, a fronte dei 1.411 miliardi di riserve in dollari (fonte Der Spiegel) che la Cina possiede nella sua banca centrale, la caduta del biglietto verde rappresenta un pericolo non da poco per la dispendiosa popolazione americana.
Come ha evidenziato Gabor Steingart dalle colonne del Der Spiegel, “Senza la Cina disposta ad acquistare una quantità quasi illimitata di buoni del tesoro statunitensi, il boom dei consumi americani non esisterebbe. E senza boom dei consumi non ci sarebbe crescita economica”. Non a caso, scrive Steingart, “i cinesi sono ben contenti di comprare buoni del tesoro statunitensi, anche perché in questo modo riescono a tenere a galla il loro cliente più importante”.
Per quanto tempo ancora, però, Pechino accetterà la svalutazione delle sue riserve in dollari a fronte del declino del biglietto verde? E qui sta il dilemma di un paese, come gli Stati Uniti d’America, che in pochi anni da grande esportatore è diventato il maggiore importatore, facendo impennare (dal 1992 al 2007) il deficit della bilancia commerciale da 84 a 700 miliardi di dollari.
Da creditore a debitore del mondo in soli quindici anni.
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