giovedì 13 dicembre 2007

POLITICA ECONOMICA #1: Spendere meno, spendere meglio

I prossimi mesi saranno movimentati se pensiamo all’estenuante voto alla Camera e al Senato, cui la legge Finanziaria 2008 sarà sottoposta. E le polemiche tra gli schieramenti politici nelle aule di Montecitorio, di certo non mancheranno.

D’altra parte, la polemica fine a se stessa, come se ci trovassimo in un’eterna campagna elettorale – colpa anche della sciagurata legge proporzionale varata dal governo Berlusconi – sembra essere ormai un problema cronico della nostra Repubblica. E il Bel Paese sarà condannato a perdere colpi – con un debito pubblico superiore al 100% del Pil (Prodotto interno lordo) e con i relativi interessi da pagare – se la politica economica del governo Prodi non cambierà strategia, nella consapevolezza, come ha scritto Francesco Giavazzi (Corriere della Sera, 14-10-2007), che “non diventeremo un Paese normale finché non riusciremo a ridurre il debito pubblico. E’ una strategia difficile, perché il debito non scende se l’economia non cresce”.

Come farla crescere, allora? Come dare libero sfogo alle risorse latenti del nostro Paese, rappresentate in parte dai tanti giovani sempre più precari? E’ qui che si gioca il futuro dell’Italia, se vogliamo ricoprire un posto autorevole tra i membri del G8. Di questo passo, fra qualche anno, potremo ancora considerarci parte integrante della stretta cerchia dei grandi del mondo?

Tuttavia, l’Italia è cresciuta, almeno negli ultimi 18 mesi, ben “4 volte più rapidamente che nei 5 anni precedenti”, stando sempre a Giavazzi. Purtroppo, però, “nel 2007 le amministrazioni pubbliche hanno speso 26 miliardi più che nel 2006”, mentre l’ultima “finanziaria prevede che il prossimo anno ne spendano altri 21 in più”. Tutti soldi ben spesi?

Difficile crederlo se finora i 40 miliardi di euro in più pagati al fisco dai contribuenti, secondo Giavazzi, “sono stati spesi per accontentare un po’ tutti tranne i giovani e i veri poveri”. Basti pensare, ad esempio, ai 10 miliardi di euro che ci costerà la decisione di porre l’età minima per la pensione a soli 58 anni – mentre in gran parte d’Europa si superano i 60 – sfavorendo proprio i giovani precari, visto che il finanziamento di questa somma sarà possibile con l’aumento dei contributi, tassando così i loro già esigui stipendi.

Dicevano i monetaristi della Scuola di Chicago, per criticare gli eccessivi interventi dello Stato in economia, che bisognava tagliare la spesa pubblica. Come? Riducendo le tasse, e quindi anche le entrate, i soldi a disposizione diminuirebbero, e così lo Stato sarebbe costretto a spendere meno e meglio.

Che sia questa la strada da imboccare?

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