giovedì 13 dicembre 2007

POLITICA ECONOMICA #2: Quale globalizzazione?

La globalizzazione “è non solo inevitabile ma anche fondamentalmente benefica se si riescono a distribuire in modo migliore i suoi benefici”, ha dichiarato il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, davanti al Development Committee della Banca Mondiale a Washington, aggiungendo poi che “molti milioni di persone la vivono non come progresso ma come forza distruttrice”.

Parole sagge, quelle del governatore Draghi, anche alla luce della controversa reputazione che la globalizzazione si è fatta negli ultimi anni, all’ombra dell’accesa disputa tra global e no-global. Chi ha ragione, tra la due scuole di pensiero, è difficile dirlo.

L’unica certezza è sul significato del termine globalizzazione, che dalla fine del XX secolo contraddistingue quel fenomeno di crescita degli scambi (commerciali, sociali e culturali) a livello mondiale. E la domanda cruciale, che spesso ci si pone quando parliamo di globalizzazione, è la solita: “Sono di più i vantaggi o gli svantaggi?”.

Se pensiamo, ad esempio, alle opportunità che ci dà il web – dalla possibilità di acquistare a prezzi vantaggiosi, e comodamente da casa, prodotti e servizi di ogni tipo, per non parlare poi delle tecnologie (vedi Skype, chat-room, email) che ci permettono di poter comunicare con chiunque anche dall’altra parte del mondo – i vantaggi ci sembrano maggiori.

Basterebbe, però, cambiare un po’ il nostro angolo visuale – magari immedesimandoci nei poverissimi cittadini dei paesi in via di sviluppo (Africa in primis) – per comprendere quanto sia variegato, e poco scontato, l’eterno dibattito sugli aspetti più o meno positivi della globalizzazione.

Come dire: per un vantaggio c’è sempre uno svantaggio. Maggiori opportunità di spostarsi in giro per il mondo con voli low cost: e all’inquinamento ambientale, con l’immissione nell’aria di ingenti dosi di CO2, nessuno ci pensa? Forti incrementi nella produzione di beni e servizi da vendere sui mercati internazionali: e alle barriere doganali, volte a difendere i comparti del tessile, dell’abbigliamento e dell’agricoltura dei paesi più ricchi a scapito di quelli in via di sviluppo, nessuno ci pensa?

Secondo l’organizzazione non governativa Oxfam International, infatti, per ridurre la povertà nei paesi in via di sviluppo bisognerebbe garantirgli libero accesso ai mercati degli Stati più ricchi. Di questo passo, invece, sottolinea sempre Oxfam, i paesi poveri perderanno circa 100 miliardi di dollari all’anno per via del protezionismo dei paesi ricchi, vale a dire il doppio di quanto ricevono grazie agli aiuti economici.

E’ questa la globalizzazione che vogliamo?

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