sabato 24 luglio 2010

La valigia sospetta

Partenza con circa un’ora di ritardo da Roma Fiumicino, che quasi stavo perdendo la coincidenza con il volo da Londra Heatrow per Newark nel New Jersey. All’aeroporto di Roma insieme ai miei genitori incontriamo un caro amico di famiglia, Andrea, nato a Brooklyn, quindi abbastanza esperto di cose americane. Gli chiedo qualche consiglio su New York, essendoci lui nato, quasi invidiandolo per questa sua dote di nascita. L’ansia comincia a salire, nella consapevolezza che fra qualche ora dovrò salutare i miei genitori che non vedrò per quasi tre mesi di seguito. Dopo qualche lacrima d’ordinanza, mi faccio coraggio e mi dirigo al controllo bagaglio. Tanto per sdrammatizzare e farci qualche risata, ho quasi perso il contro - tra Roma, Londra e Newark – di quante volte mi hanno fatto aprire le valigie per controllare che non imbarcassi niente di pericoloso. A Londra addirittura mi hanno sottoposto a un controllo extra, dove l’agente si è divertito ad aprire e scombussolare l’ordine precario dei miei bagagli. Per non parlare poi delle scarpe che mi hanno fatto levare, proprio per non farmi mancare nulla. Giunto all’aeroporto di Newark, dopo un volo di oltre sette ore, mi accingo a superare indenne il controllo della dogana. Che dire? 1) Sono uno studente in vacanza per tre mesi in terra americana, che non ha alcuna intenzione di lavorare senza visto e che non conosce nessuno qui a New York; 2) confessare che son venuto fin qui per uno stage (non retribuito) presso la televisione di stato italiana. Alla fine opto per la prima soluzione, che a tratti però mi fa temere di venire respinto. Per ben tre volte, tre diversi agenti mi tartassano di domande – quanto tempo resterai?, come mai tutto questo tempo, perlopiù da solo?, come ti finanzierai?, che lavoro fanno i tuoi genitori?, hai del cibo e delle piante in valigia? – per capire bene le ragioni di un giovane 25enne che ha deciso di trascorrere una solitaria estate americana. Alla fine mi lasciano andare, e con mio grande sollievo esclamo tra me e me: “Here we are”. Ci siamo: diamo inizio alle danze (americane). Tanto che ne sanno, lì alla dogana, dell'estate (forse) più bella della mia vita che mi accingerò a vivere niente di meno che a New York City.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Remember Montreal Border.
SalernoPresente

mordecai ha detto...

ci hai emozionato...