sabato 28 agosto 2010
martedì 24 agosto 2010
New Jersey Reunion #2
Una promessa va sempre mantenuta. Gerardo e Maria, i miei parenti di stanza a Lodi nel New Jersey, mi avevano invitato per un weekend a casa loro, e io ho accettato con piacere. Parto il venerdì sera da New York per la piccola cittadina di Garfield. In circa mezz’ora arrivo a destinazione, e alla stazione trovo Gerardo e Maria a darmi il solito, caloroso benvenuto. Il programma è questo: la sera, appena arrivato, andiamo alla Festa Italiana lì a Garfield, dove mi mangio due sandwich sausage & pepper da paura. C’e anche un piccolo concerto di musica americana: un po’ strano per una Festa Italiana. Il sabato mi sveglio intorno alle 9, e Gerardo mi prepara una delle migliori colazioni della mia vita, una vera e propria colazione americana a base di pancake e panino con uova e ketchup. Devo confessare di non avercela fatta a finire tutto, ma posso dire di essermi saziato alla grande. A pranzo andiamo da un’amica di Gerardo che ci fa mangiare di nuovo (e io devo ancora digerire la super-colazione di qualche ora prima). Ci sediamo e ci rialziamo dopo quasi 4 ore, neanche fosse un cenone di Natale. La sera ritorniamo a Garfield per la Festa Italiana che ospita un concerto in onore di Elvis Presley, a pochi giorni dall’anniversario della morte (il 16 agosto). Il cantante non è dei migliori, ma ad ascoltare le canzoni del Re di Memphis mi viene da pensare quanto abbia significato la figura di Elvis per la musica e la storia a stelle e strisce. «Before Elvis, there was nothing», disse John Lennon. Il suo modo di recitare sul palco, il carisma e il fascino hanno rappresentato e rappresentano ancora al meglio l’attrazione che gli Stati Uniti esercitano su noi europei speranzosi di assaggiare una fetta di sogno americano. La domenica mi alzo alle 6 perché alle 7:30 dobbiamo prendere l’autobus per Atlantic City, dove andremo a giocare al Casinò. Il viaggio per (e da) Atlantic City rimarrà una delle esperienze più strane e a tratti surreali della mia vita.
A parte il fatto che a bordo sono l’unico giovane della comitiva, a un certo punto gli organizzatori della gita cominciano a recitare al microfono il rosario: ripasso così alcune preghiere dimenticate col passare degli anni. Cerco in tutti i modi di ascoltare un po’ di musica ma la voce al microfono è più forte delle mie cuffie. La parte peggiore arriva quando tutti insieme iniziano a cantare canzoni di chiesa, alcuni con una voce davvero stridula. Ma la cosa che più mi sorprende è la profonda fede di tutte queste persone e al tempo stesso la loro voglia di non lasciarsi sfuggire l’occasione di scommettere al Casinò. La domanda allora nasce spontanea: come si fa a conciliare la Fede e il desiderio di giocare un pacco di soldi alle slot machine? Forse proprio una contraddizione del genere ci può permettere di afferrare il segreto della vita: non sempre tutto è bianco o nero, spesso è la sfumatura a farla da padrona – per dirla alla Tony Pagoda (© Paolo Sorrentino) – e non è detto che questa sfumatura chiarisca le nostre idee già troppo confuse. All’inizio sono un po’ timoroso a scommettere qualche dollaro, poi mi basta iniziare per non riuscire più a smettere. Morale della favola: scommetto ben $160, e se non fosse per l’ultima (fortunata) giocata che mi fa recuperare $64, finirebbe certamente peggio per il mio portafoglio. Resta comunque da incorniciare una giornata di certo più lenta rispetto ai soliti ritmi newyokesi, ma che mi ha saputo regalare una esperienza mai vissuta prima insieme a delle persone semplici e generose, alla riscoperta di quelle radici che prima della mia partenza non credevo nemmeno potessero esistere. Grazie di tutto Gerardo e Maria, see you soon on the other side of the Hudson River.
Etichette:
atlantic city,
casinò,
elvis presley,
festa italiana,
garfield,
hudson river,
john lennon,
lodi,
memphis,
New Jersey,
new york,
pancake,
religione,
slot machine,
stati uniti,
tony pagoda
sabato 21 agosto 2010
Metti una sera a Broadway
Arthur l’ho conosciuto lo scorso aprile durante il fantastico viaggio canadese che mi ha portato anche a Boston e New York. Qualche giorno fa ci siamo rivisti qui a NYC. Siamo andati a vedere insieme una commedia a Broadway – Lend me a Tenor per la regia di Stanley Tucci – e devo ammettere che mi sono divertito moltissimo. Dopo lo spettacolo abbiamo aspettato fuori dal teatro per incontrare gli attori, Arthur in cerca di una foto con Tony Shalhoub. Io me la sono fatta con una delle attrici, la bionda. Fuori pioveva e noi, imperterriti, abbiamo atteso invano l’arrivo di Tony. Alla fine abbiamo visto spuntare dall’uscita del teatro il calciatore francese Thierry Henry insieme a una sventola biondona da paura. Stanchi ormai di aspettare, ci siamo spostati nel Lower East Side per raggiungere Pat e Teo. Qui abbiamo bevuto qualche birra, parlato finalmente un po’ inglese (troppo abituati all’italiano della Rai) e dopo una lunga e divertente serata abbiamo scattato una foto per immortalare la reunion . Alla prossima Arthur, magari a settembre al Toronto Film Festival. See you soon mate!
mercoledì 18 agosto 2010
Vita da stagista #3
La mia vita da stagista a Rai Corporation a tratti è noiosa, ma è anche molto esaltante, soprattutto se mi capita di uscire in esterna a girare con la troupe. E’ capitato diverse volte, specialmente da quando è arrivato Oliviero Bergamini. Siamo andati a Ground Zero, di fronte all’edificio che dovrebbe ospitare una moschea proprio a due passi dal cratere delle Torri gemelle. Poi abbiamo fatto delle interviste a 5POINTZ, nel Queens, considerato la Mecca per i writers di tutto il mondo. E’ un posto dove qualsiasi appassionato di graffiti può trovare uno spazio sul quale scaricare la propria fantasia artistica. Ce ne sono di migliori e di peggiori, ma avere l'opportunità di vedere tutti questi graffiti diversi, e gli uni vicini agli altri, è davvero imperdibile.
Durante queste prime settimane di stage sono anche riuscito ad organizzare una intervista per Oliviero sul tema dei 99ers, ovvero coloro che negli Stati Uniti si ritrovano senza più sussidi di disoccupazione dopo averne ricevuto per 99 settimane di seguito. Abbiamo intervistato Connie, una signora senza lavoro da più di un anno che ci ha spiegato con passione e un pizzico di commozione la sua storia in comune con quella di tanti altri americani rimasti privi di sostegni economici.
Ci ha anche parlato di persone suicidatesi perché incapaci di trovare una via d’uscita dal tunnel dell'unemployment che sta ferendo nel profondo l’anima di un' America ancora nella morsa della crisi. Connie però ci ha più volte ripetuto: “I don’t give up, I don’t give up”. Good luck, Connie. Good luck, America.
Ci ha anche parlato di persone suicidatesi perché incapaci di trovare una via d’uscita dal tunnel dell'unemployment che sta ferendo nel profondo l’anima di un' America ancora nella morsa della crisi. Connie però ci ha più volte ripetuto: “I don’t give up, I don’t give up”. Good luck, Connie. Good luck, America.
Etichette:
5POINTZ,
99ers,
graffiti,
ground zero,
new york,
oliviero bergamini,
queens,
rai corporation,
stage,
stati uniti,
torri gemelle,
upper west side
martedì 10 agosto 2010
Metti una sera ad Harlem
Per gli amanti della musica New York City è la città ideale. Poi in estate, grazie alla bella manifestazione SummerStage che propone concerti gratuiti in giro per Manhattan, le occasioni rischiano di diventare ancora più ghiotte. Capita così di ascoltare ad Harlem, nel piccolo ma accogliente Marcus Garvey Park, un’indimenticabile esibizione del musicista afroamericano Gil Scott-Heron. Circondato perlopiù da ragazzi e ragazze, vecchi e bambini di colore, nel cuore di un’Harlem chiamata a raccolta dalla passione di Scott-Heron, mi sento parte di un rito musicale capace, anche solo per qualche ora, di sconfinare oltre qualsivoglia muro tra razze, nella consapevolezza che a cantare è un'unica, grande voce, pronta a liberarci dai lacci più ostinati della nostra visione, spesso troppo ristretta, delle cose del mondo. Peace, love, soul: basta poco per crescere a suon di (buona) musica.
Etichette:
gil scott-heron,
harlem,
I'm new here,
love,
manhattan,
marcus garbey park,
musica,
new york city,
peace,
soul,
summer stage
Continua la vita, continua la vita
Finora non sono andato nemmeno una volta al cinema, dal mio sbarco qui a New York. Quale migliore occasione, allora, per inaugurare la mia stagione cinematografica americana, che andare a vedere un bel film open air (proprio così, all’aria aperta) sulla riva dell’Hudson River nell’Upper West Side? La rassegna in questione si è tenuta al Riverside Park, e insieme a Giulia, Paola, Pat e Clea abbiamo deciso di andare per rilassarci dopo una giornata di stage. Il film proiettato è Big Fish di Tim Burton, che non ho mai visto anche se mio fratello Marco mi ha sempre consigliato di farlo. La storia è molto bella, sebbene la pellicola sia a tratti un tantino strappalacrime. Mi ha colpito il desiderio del protagonista di morire come in un sogno, tanto perfetto quanto la sua meravigliosa vita vissuta sulla Terra. La domanda allora nasce spontanea: si può davvero morire così come si desidera? Basta solo un sogno a farci credere di poterlo fare? Di certo, qui a New York, tra sogni realizzati, da realizzare ancora e ambizioni da coltivare, il tempo per sognare ce n’è davvero poco. Continua la vita, continua la vita: quella vera, s’intende, senza attimi di tregua.
Etichette:
big fish,
cinema,
hudson river,
new york,
riverside park,
stage,
tim burton,
upper west side
lunedì 9 agosto 2010
mercoledì 4 agosto 2010
New Jersey Reunion
Me l’ero sempre domandato, chiedendo a volte ai miei genitori: ma abbiamo dei parenti, anche alla lontana, che vivono negli Stati Uniti o addirittura a New York? Così pochi giorni prima della mia partenza americana scopro che in realtà qualcuno c’è, dall’altra parte dell’oceano, che un qualche legame di parentela con la mia famiglia (paterna) ce l’ha. Lui si chiama Gerardo, originario di Palomonte come mio padre, da oltre 40 anni trasferitosi in America per lavorare, e dove ha cresciuto una famiglia che ho avuto il piacere di conoscere domenica scorsa. Vivono nel New Jersey, in una cittadina chiamata Lodi. Sabato scorso decido di chiamarli, così ci mettiamo finalmente d’accordo per incontrarci il giorno dopo. La domenica Gerardo e Anthony (il genero di Gerardo, marito della figlia Susanna) vengono addirittura a prendermi fino ad Harlem, da dove mi portano nel New Jersey. Passiamo per Jersey City, dove abita Anthony che fa il poliziotto e che ha lo stesso cognome di mia nonna Rosa (Scalcione), quindi secondo i suoi calcoli dovremmo essere cugini di 4° grado. Con lui parliamo inglese, visto che non conosce bene l’italiano ma un pochino lo capisce (soprattutto il dialetto), e anche se si sente – come mi ha confidato – italiano nel cuore. Il suo sogno, infatti, sarebbe quello di ottenere la cittadinanza, dato che la madre è nata in Italia, e potersi trasferire un giorno nel Bel Paese. Con Gerardo invece parliamo addirittura in dialetto, e il suo accento – mezzo americano, mezzo napoletano – è un piacere ascoltarlo. Non dimenticherò mai l’accoglienza riservatami da Gerardo, dalla moglie Maria, dalla figlia Susanna, da Anthony e dai loro due figli piccoli, Marina ed Antonio. Tutti erano curiosi di conoscermi, di parlarmi, quasi come se l’arrivo del cugino italiano in America fosse un segno del destino da non lasciarsi scappare. Io, da parte mia, non me lo sono fatto scappare, e dopo aver trascorso una delle giornate più importanti della mia vita sono ancora più convinto di aver fatto la scelta giusta. Per un attimo ho riassaporato il gusto di stare in famiglia, che spesso in Italia sottovaluto preso dai miei fantomatici impegni, dal mio essere troppo duro con gli altri e con me stesso, dalla mia cecità dovuta ad abitudini dure a morire. Ma cosa c’è di più bello che mangiare attorno a una tavola imbandita di tutto e di più, in compagnia di persone semplici e generose, tra una bottiglia di birra e un piatto di pasta, una risata e una fetta di torta, una ciliegia e un bicchiere di limoncello, quasi come se Salerno fosse lì dietro la porta pronta a donarti col cuore qualcosa di intangibile ma di così concreto come solo la famiglia sa essere? See you soon, miei cari amici del New Jersey. E' una promessa che non mancherò.
Etichette:
famiglia,
Jersey City,
New Jersey,
new york,
Palomonte,
Salerno,
stati uniti
martedì 3 agosto 2010
Sono un ragazzo fortunato
Primo weekend da New Yorker. Sabato 31 luglio, concerto del mitico Jovanotti a Central Park per la manifestazione Summer Stage: decidiamo di andare insieme a Giulia, Laura, Clea e gli amici Fabio e Alessia (ex stagisti a Rai Corporation in trasferta da Toronto). Ci sono molti connazionali ad attendere l’esibizione del nostro Lorenzo Cherubini. Il concerto inizia alle tre del pomeriggio, ma per Jovanotti bisognerà attendere prima che altri due gruppi si esibiscano. Il tempo non ci manca, la musica nemmeno, i posti a sedere ci sono, quindi occhio agli orologi ché alle 17:30 iniziano le danze italiane. C’è anche una troupe del Tg3 a riprendere Jovanotti, peccato non averlo potuto incontrare di persona. Central Park è una location perfetta per un concerto estivo immersi in una foresta di alberi all’apparenza senza fine. E pensare che a due passi continua la vita frenetica di una delle metropoli più caotiche al mondo. Ecco perché amo così tanto questo parco meraviglioso che tra i suoi sentieri e prati verdi ti fa sentire come in una casa al riparo dallo smog infernale delle strade. Ma il nostro sabato non finisce qui: decidiamo infatti di andare in serata a Williamsburg al Brooklyn Bowl per giocare a bowling. Alla fine ci sediamo a mangiare qualcosa mentre una blues-band ci delizia ad alto volume con della buona musica live. Finalmente ho l’occasione di ascoltare qualcosa dal vivo nella magica New York, in attesa di realizzare il mio sogno musicale in un fumoso locale jazz di qualche seminterrato di Manhattan. Sooner or later…
Etichette:
brooklyn,
brooklyn bowl,
central park,
jovanotti,
lorenzo cherubini,
manhattan,
musica,
new york,
new yorker,
rai corporation,
summer stage,
tg3,
williamsburg
Vita da stagista #2
La prima settimana di internship a Rai Corporation è finita. Le emozioni provate finora a New York sono contrastanti. Ci son cose che ricordo con piacere e altre invece che mi fanno rimpiangere di non avere fatto scelte diverse. Forse devo essere più fiducioso e magari un pizzico più intraprendente, altrimenti nulla potrà davvero cambiare. C’è ancora tempo per ambientarsi, almeno fino a metà ottobre, sperando di poterlo fare così come sognavo di farlo dall’Italia. A lavoro, durante questa prima settimana, ho affiancato i producer del Tg3 e la corrispondente Giovanna Botteri, che da ieri è stata sostituita da Oliviero Bergamini. Il primo giorno è stato molto coinvolgente, soprattutto quando la Botteri ha chiesto a me e ad Aldo (l’altro stagista che ha appena concluso la sua internship di tre mesi) di trovare su Internet i documenti originali che WikiLeaks aveva pubblicato sui rapporti segreti della guerra in Afghanistan, riguardanti anche un coinvolgimento italiano. Ritrovarsi poi in sala regia a guardare un servizio al quale hai collaborato - anche seppur in minima parte – ti inorgoglisce non poco. Naturalmente non capita sempre di occuparsi di argomenti così interessanti, e infatti nei giorni successivi ho riordinato l’archivio dei servizi del Tg3 e fatto un po’ di rassegna stampa. Questa è la vita da stagista, questa è la mia vita: tanto – come mi ha confidato un amico – l’80% di questa esperienza è New York City. Let’s enjoy our (american) time!
Etichette:
giovanna botteri,
new york,
oliviero bergamini,
rai corporation,
stage,
tg3,
wikileaks
Iscriviti a:
Post (Atom)