di Paolo Massa
(www.whipart.it)
Basti pensare che il tema del conflitto è parte integrante anche della sua prima, sperimentale pellicola, quel Paura e desiderio del 1953, storia di un gruppo di soldati persi dietro le linee nemiche di una guerra sconosciuta. Come ha confermato poi Christiane Kubrick, vedova del regista, nel bel documentario Stanley Kubrick: A Life in Pictures, a Kubrick «piaceva confrontare la guerra al gioco degli scacchi e gli scacchi al fare cinema, tendendo a vedere ogni cosa come un conflitto». Era un grande giocatore di scacchi, Kubrick, e forse non è un caso se passavano così tanti anni tra un film e l'altro. A proposito del suo passatempo preferito, il regista considerava gli scacchi come «una serie di mosse che si fanno una alla volta e obbligano a valutare le risorse rispetto al problema principale, che negli scacchi è il tempo e nel cinema sono il tempo e il denaro».(www.whipart.it)
In un'intervista pubblicata nel settembre 1968 su Playboy, Stanley Kubrick disse: «Per quanto sia vasta l'oscurità, dobbiamo procurarci da soli la nostra luce». E il grande regista americano, scomparso proprio dieci anni fa, ha spesso cercato di scandagliare nei suoi film, illuminandola con la solita maestria dietro una macchina da presa, quell'oscurità che ha segnato in particolare il XX secolo: la guerra.
Scrisse Elaine Dundy in un articolo del 1963 pubblicato su The Queen Magazine: «Per lui fare il regista è una guerra (...) contro la pigrizia, la fannullaggine, (...) contro le perdite di tempo e di energie, contro tutto ciò che gli impedisce di ottenere le migliori condizioni di lavoro per sé e i propri attori». «Cerco solo di fotografare le cose in modo realistico», questa la poetica cinematografica di Stanley Kubrick, seguita a maggior ragione nei suoi film bellici. Tre su tutti da ricordare: Orizzonti di gloria (1957), Il dottor Stranamore (1964) e Full Metal Jacket (1987).
E' curioso, tuttavia, notare come nel caso della prima e della terza pellicola, rispettivamente ambientate durante la prima guerra mondiale e il conflitto in Vietnam, il regista americano abbia deciso di mostrarci, attraverso violente scene di combattimento, le conseguenze più atroci sui corpi e gli spiriti dei poveri soldati chiamati al fronte. In Orizzonti di gloria, lucido atto d'accusa contro la guerra dove le magnifiche carrellate all'interno delle trincee ci danno il senso del primo, brutale conflitto globale, come anche in Full Metal Jacket, dove lo sguardo antimilitarista del film precedente si tramuta in uno sguardo più obiettivo e realistico sugli orrori del Vietnam. «In Full Metal Jacket Kubrick finì per assumere un punto di vista distaccato come un occhio di Dio sui combattimenti, specialmente nella seconda parte del film». Parola di Michael Herr, co-sceneggiatore della pellicola, che nel documentario A Life in Pictures evidenzia quanto Kubrick avesse voluto, questa volta a differenza di Orizzonti di gloria, non più «assumere una posizione morale e politica sulla guerra ma considerarla solo come fenomeno». «Lui stesso capì», continua Michael Herr, «che tra le tante cose anche la guerra poteva essere bellissima» impressa su pellicola. Ne Il dottor Stranamore, ovvero: Come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba (1964), invece, quasi a voler esorcizzare in piena guerra fredda la possibilità (non remota) di una battaglia nucleare, Stanley Kubrick decise di servirsi di una sagace black comedy per farci riflettere con un sorriso sull'assurdità di un conflitto che avrebbe potuto distruggere l'intero pianeta.
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