domenica 7 febbraio 2010

Chi comanda a Milano

«Fate impresa dove ci sono i soldi», consigliava Bernardo Provenzano, il boss corleonese di Cosa Nostra, ai suoi picciotti. In Lombardia, e in particolare a Milano, di soldi ne girano parecchi. La regione è oggi la quinta in Italia per quantità di beni confiscati alla mafia, mentre Milano è diventata negli ultimi dieci anni una delle capitali del traffico internazionale di cocaina. Per Gianni Barbacetto, giornalista de Il Fatto quotidiano, il capoluogo lombardo è un mercato aperto alla criminalità organizzata «perché non ci sono filtri, nella politica e nell’economia, che bloccano l’ingresso delle mafie, e anche perché è una piazza dove non c’è un’organizzazione criminale monopolista come a Palermo, Napoli e Reggio Calabria: Milano è come la Rinascente, nel senso che tutte le marche criminali possono aprire la loro boutique».

La città è storicamente una terra dove, sin dagli anni Sessanta, sono presenti diverse famiglie mafiose. Lo dice Cesare Giuzzi, curatore insieme a Davide Milosa del sito Milano Mafia, evidenziando come negli ultimi anni ci sia stato l’avvento dei gruppi calabresi, ora egemoni sul territorio milanese. «A dominare sono le famiglie di Reggio Calabria come i Barbaro-Papalia – aggiunge Giuzzi – e le cosche del crotonese degli Arena e dei Paparo, coinvolte un anno fa negli arresti per le infiltrazioni nei lavori dell’alta velocità». A Milano città e nell’hinterland – da Buccinasco a Cologno Monzese, da Rozzano fino in Brianza – sono una cinquantina le famiglie della ‘ndrangheta censite sul territorio. Secondo il giornalista di Milano Mafia, «queste famiglie riescono a convivere nonostante gli equilibri molto precari in Calabria, perché tutto ciò che avviene al Nord è comunque legato a doppio filo a quello che succede al Sud».

«A Milano la mafia non esiste», o almeno quella che si distingue per gli omicidi e le gambizzazioni, ha detto davanti alla Commissione parlamentare antimafia il prefetto Gian Valerio Lombardi. Per Gianni Barbacetto «la mafia a Milano non si limita a fare affari tramite i colletti bianchi che lavorano in borsa, ma è una criminalità vera e propria con la sua componente militare, perché le mafie sono insieme affari e violenza». Come evidenzia Cesare Giuzzi, «le dichiarazioni di Lombardi sono la prova di una percezione che si ha del fenomeno criminale molto inferiore rispetto alla portata, e la colpa è anche dei media, visto che una cosa che avviene a Milano città conta dieci volte di più». «Se dovessi gambizzare un imprenditore – continua Giuzzi – anziché sparargli in via Manzoni a Milano andrei a ferirlo in un paesino vicino Magenta, o nelle campagne di Desio, dove so che la notizia durerebbe il tempo di una giornata».

Basti pensare, ad esempio, che negli ultimi diciotto mesi si sono contati, in provincia di Milano, almeno sei omicidi di matrice mafiosa: l’omicidio del boss della ‘ndrangheta Carmelo Novella, avvenuto nell’estate del 2008 all’interno di un bar, e l’uccisione lo scorso novembre di Giovanni Di Muro, sotto inchiesta in un processo di mafia, che aveva deciso di collaborare con i magistrati.

La capitale europea della cocaina

«Secondo una stima, almeno un ragazzo su tre, nella fascia tra i 15 e i 40 anni, ha fatto uso nell’ultimo anno di cocaina – dice Giuzzi –. Oltretutto i prezzi sono in forte ribasso e nei prossimi anni dovrebbero scendere ancora: si arriverà a cifre intorno ai 60-70 euro al grammo». Il traffico di cocaina serve soprattutto ad accumulare il denaro sporco che poi viene “ripulito” in affari leciti. «Una volta la raccolta del capitale iniziale – evidenzia Gianni Barbacetto – era fatta con i sequestri di persona, poi è diventato poco conveniente perché oggi con lo spaccio di cocaina si prendono un mucchio di soldi da impiegare, ad esempio, in operazioni immobiliari». Per il giornalista de Il Fatto quotidiano, Milano è una delle capitali europee della cocaina, anche se non bisogna sottovalutare il potenziale economico di altre droghe come l’hashish e la marijuana. Secondo Cesare Giuzzi «c’è una grande collaborazione tra Cosa Nostra e ‘ndrangheta per il traffico di droga, nel senso che spesso hanno dei referenti comuni nei paesi del Sud America e in Spagna». Al momento, però, la ‘ndrangheta sembra la più forte sul mercato della cocaina «perché buona parte degli emissari in America latina sono per lo più di provenienza calabrese».

La finestra sull’edilizia

È un settore privilegiato, quello dell’edilizia, soprattutto dalla ‘ndrangheta: «Non serve una grande capacità imprenditoriale – sottolinea il giornalista di Milano Mafia – e spesso non ci sono controlli». Secondo alcune inchieste, il movimento terra è l’affare privilegiato dalle cosche attraverso subappalti che vengono vinti sempre dalle stesse imprese. «Il cantiere che non affida i lavori alle aziende dei calabresi è a rischio: a testimoniarlo ci sono un mucchio di cantieri bruciati» dice Gianni Barbacetto. Nel caso del movimento terra, spiega Giuzzi, le famiglie criminali guadagnano anche mille euro a camion, e «in alcuni casi sono stati fermati dei ragazzi di 17 anni, senza nemmeno la patente, saliti da San Luca e Platì per guidare i mezzi fino a Buccinasco».

Le infiltrazioni mafiose riguardano anche i lavori per la quarta corsia dell’autostrada Milano-Bergamo e i cantieri dell’alta velocità, mentre si temono interessi delle famiglie calabresi per le gare d’appalto in vista dell’Expo 2015. Ma la ‘ndrangheta non è solo edilizia. «C’è un aumento del prestito ad usura – evidenzia Giuzzi – perché ci sono aziende con l’acqua alla gola, nella fascia delle piccole e medie imprese da Torino a Verona, dove arrivano i prestanome delle cosche per aiutarle e poi cannibalizzarne l’attività». A Milano un altro settore in cui sono attivi i calabresi, ma anche i siciliani, è quello delle cooperative di pulizia e facchinaggio. «Ce ne sono decine che fanno riferimento a personaggi della ‘ndrangheta – dice Barbacetto – e che muovono migliaia di lavoratori pagati in nero, soprattutto extracomunitari».

La sponda della politica

I contatti tra criminalità organizzata e politica milanese ci sono. D’altra parte, «senza rapporti con la politica – ammette il giornalista de Il Fatto quotidiano – non c’è organizzazione criminale che tenga». C’è il caso del consigliere regionale del Popolo della libertà, Alessandro Colucci, filmato ad una cena insieme a Salvatore Morabito, il presunto boss dell’ortomercato. «Colucci ha detto di non sapere che ci fosse quella persona – dice Cesare Giuzzi – anche se al ristorante risultavano esserci altri soggetti legati allo stesso ambiente criminale». Gianni Barbacetto ricorda, invece, la vicenda dell’onorevole Francesco De Luca, «indagato perché aveva promesso a un gruppo camorristico, il clan di Vincenzo Guida, di intervenire presso la Cassazione per aggiustare un processo per omicidio. De Luca se l’è cavata dicendo di non aver mantenuto la promessa». Ci si chiede, dunque: quanto è permeabile la politica lombarda alle offerte della criminalità organizzata?

Nessun commento: