di Paolo Massa
Martina ha solo 8 anni, non parla da quando ha visto morire il fratellino appena nato, ma sa guardarsi intorno meglio di chiunque altro. La bambina - piccola grande protagonista dell’ultimo film di Giorgio Diritti L’uomo che verrà - ci guida con i suoi sguardi e pensieri in un mondo dove Cristo sembra essere l’ultima speranza cui aggrapparsi contro i soprusi dei padroni e le sofferenze della vita. La famiglia contadina di Martina vive in un paesino alle pendici del Monte Sole, durante l’invasione nazista nel nord Italia tra il 1943 e il 1944. Da quando si sentono i bombardamenti su Bologna, gli abitanti si trovano giorno dopo giorno stretti tra le brigate partigiane del comandante Lupo e i tedeschi che avanzano città dopo città.
«È il modo di fare che cambia le cose», dicono i contadini abituati a condurre un’esistenza lenta e religiosa all’insegna di un lavoro che spacca la schiena. Lo sa bene Lena (Maya Sansa), la madre di Martina che continua imperterrita ad aiutare nei campi il marito sebbene incinta. E anche la piccola protagonista è in attesa di abbracciare il suo nuovo fratellino, cercando di non pensare alle strane cose che avvengono intorno a lei: «Tutti si vogliono ammazzare ma non capisco perché», scrive la bambina in un tema a scuola. Giorgio Diritti ci introduce, con rigore stilistico e sguardo antropologico, alla vita di sudore e lavoro di una comunità che di lì a poco vivrà sulla propria pelle la violenza della macchina di morte nazista: stiamo parlando della strage di Marzabotto, avvenuta tra il 28 e il 29 settembre 1944, in cui persero la vita quasi 800 civili, comprese donne e bambini.
La pellicola colpisce dritto al cuore, e quando meno te lo aspetti mostra senza remore le conseguenze (fisiche e morali) che la guerra porta sin dentro una natura incontaminata, dove si possono vedere ancora le lucciole e gli alberi sembrano parlare. Pur se eccessivamente dilatato nel finale, L’uomo che verrà è un piccolo grande gioiello (tra l’altro recitato quasi tutto in dialetto) ricco di spunti visivi e sonori capaci di coinvolgere a pieno lo spettatore. «Vince chi resta vivo», dice un anziano contadino a proposito della guerra, perché almeno per i sopravvissuti la speranza sarà l’ultima a morire.
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