Volete vedervi un film di un'attualità imbarazzante? Sto parlando di Man of the Year diretto da Barry Levinson (vi dice qualcosa Rain Man e Sleepers?) e intepretato alla grande da Robin Williams nei panni di un comico televisivo che, dopo essersi candidato a sorpresa alle elezioni presidenziali americane, riesce - però solo grazie ad un errore del sistema elettronico di voto, e a sua insaputa e di tutto il popolo a stelle e strisce - a diventare niente di meno che il nuovo Presidente degli Stati Uniti d'America. Un comico al potere, insomma. Ci credereste mai? E il film di Levinson, uscito nelle sale nel 2006, ma sarebbe stato perfetto in questi giorni di agguerrita campagna elettorale tra Obama e McCain, rende il tutto abbastanza credibile, anche se la storia perde un po' di smalto quando vira verso il genere thriller-cospirazionista. Ma alla fin fine, per chi volesse farsi due risate intelligenti, e sperare magari che un giorno una persona come Tom Dobbs possa davvero candidarsi, il film è altamente consigliato. Frase d'antologia: "I politici sono molto simili ai pannolini, devono essere cambiati spesso e per lo stesso motivo".
domenica 28 settembre 2008
Recount
mercoledì 24 settembre 2008
Redacted
Non mi capita spesso di guardare un film recente e dire dopo la visione: "Questo è un autentico capolavoro". Può capitare una volta all'anno, massimo due. Ora mi è capitato un'altra volta, e peccato che questa pellicola non l'abbia vista al cinema, ma sarebbe stato (quasi) impossibile. Sto parlando di Redacted diretto da Brian De Palma, presentato l'anno scorso al Festival del Cinema di Venezia, e mai - dico mai - uscito nelle sale italiane. Una vergogna. Il film parla di un gruppetto di soldati americani di stanza in Iraq, coinvolti (e la storia è realmente accaduta) nello stupro di una bambina irachena di soli 15 anni, uccisa poi insieme alla madre, il nonno e la sorellina. La storia viene narrata attraverso i filmini che i soldati hanno girato per le strade di Samarra, alternati con un documentario diretto da alcuni giornalisti per spiegare la vita delle truppe e dei civili iracheni intorno a un check-point dell'esercito, con i video di attentati ai danni dei marines caricati sul web dagli stessi terroristi, e altro materiale - come i tg iracheni locali - sempre opera della finzione filmica di De Palma. Il punto di vista è dunque sempre diverso, ma l'angolazione dalla quale lo spettatore - attraverso i filmati prodotti dagli stessi soldati - entra pian piano nella storia è davvero privilegiata ed inedita. Un film che lancia, come nessun altro film recente è riuscito a fare, un'ombra di puro orrore sulla sciagurata avventura americana in terra irachena. "La vera storia della guerra in Iraq è stata redatta dai media commerciali di massa: se siamo disposti a provocare questi disordini, allora dobbiamo anche affrontare le orrende immagini che conseguono da questi atti", ha dichiarato Brian De Palma. Siamo pronti a quelle immagini?Lisbon Story
Può il cinema far rivivere su pellicola e su schermo il segreto più profondo, e anche più inafferrabile, di una città? Dopo aver visto Lisbon Story di Wim Wenders siamo convinti proprio di sì. E non solo far rivivere l'essenza di un luogo, ma anche delle vite che uomini e donne trascorrono in quei luoghi. Questa perla cinematografica del regista tedesco è un film sul cinema, nella sua disperata ricerca di armonia tra le immagini e il sonoro su cui i due protagonisti stanno lavorando, ma allo stesso tempo è soprattutto un film sulla vita, con le domande, che immancabilmente ognuno di noi si pone, a fare da sfondo letterario alle meravigliose vedute di Lisbona. Possiamo dire, alla fin fine, che il cinema è capace di farci scoprire realtà intorno che non sempre riusciamo a scorgere? Lisbons Story ve lo saprà dire...
martedì 23 settembre 2008
I am Legend
Riuscirà mai l'uomo a debellare il cancro? Nel film I am Legend con Will Smith, il genere umano ci è finalmente riuscito. Ma a quale prezzo? Ce ne accorgiamo non appena realizziamo che il protagonista è costretto a vivere da solo, non si sa bene da quanti anni, in una New York spettrale e senza più vita per le strade, invase ormai solo da erbacce e feroci animali affamati. Non si tratta più di una giungla d'asfalto, ma di una vera e propria giungla. Nel tentativo di curare il cancro con un particolare virus opportunamente modificato, l'intero (o quasi) genere umano è stato infettato, causandone una lenta degenerazione animalesca. Compito del protagonista è quello di scoprire un eventuale antidoto in modo da salvare la razza umana, se ancora ne è rimasta traccia sulla faccia della Terra. Le premesse dunque sono perfette per un film che, almeno nella prima parte, davvero è ben fatto, con una buona dose di spettacolarità (vedi la prima sequenza della caccia con l'auto per le strade di New York) ma anche di riflessione su quello che la solitudine può significare per un uomo in quelle condizioni. Con l'incedere della storia, però, il tutto ci sembra un po' troppo prevedibile, senza quell'intensità iniziale che ci aveva non poco affascinato. La morale del film si riduce così a frasi ad effetto che appaiono un pizzico artificiose, se non proprio pretenziose. Un esempio? La passione del protagonista per la musica di Bob Marley, l'unica cosa che gli è rimasta - insieme al suo adorato cane e al ricordo della moglie e della figlia - del mondo che fu, viene riassunta in questa citazione del grande autore giamaicano: "The people that are trying to make this world worse are not taking a day off — how can I? — Light up the darkness" (Le persone che stanno cercando di rendere peggiore questo mondo non si prendono giorni liberi, come posso farlo io? Illumina l'oscurità). Will Smith come un redivivo Bob Marley? Chissà...domenica 21 settembre 2008
Thirteen Days
Avrei voluto che durante gli anni scolastici i professori di storia mi avessero fatto vedere più film per meglio comprenderla, la storia. Non tanto per capire i perchè di tante guerre che, in ogni periodo storico, non sembrano mai mancare, ma in particolar modo per cercare di condividere quegli stati d'animo che i testimoni del tempo vissero sulla propria pelle. Un film non deve per forza propagandare una verità storica, questo spetta agli studiosi, ma può invece rappresentare attraverso dei personaggi e le loro storie intrecciate alla storia, quel sentire comune che aiuta noi spettatori, a distanza di decenni o secoli dall'evento narrato, a carpire l'importanza, appunto, storica di un momento del passato che, nel bene o nel male, ha influenzato anche le nostre vite. Ho rivisto Thirteen Days, sui fatidici tredici giorni che portarono, nel lontano ottobre 1962, gli Stati Uniti d'America di John (e Bobby) Kennedy vicinissimi alla terza guerra mondiale contro l'Unione Sovietica di Kruscev, e ho pensato a quanto sia facile fare una guerra, e quanto sia difficile evitarla quando tutto e tutti ti remano contro. Anche se il film non è perfetto - un po' troppo lungo (ben 145 minuti), con una tensione narrativa che a tratti va scemando, dopo una prima parte abbastanza incalzante, e con una visione storica non poco romanzata - l'occasione di rivedere su schermo l'azzardo diplomatico dei fratelli Kennedy è ghiotta. Disse una volta Bobby Kennedy ritornando indietro a quei tredici giorni: "La lezione finale che dobbiamo trarre dalla crisi cubana dei missili è la seguente: è indispensabile sapersi mettere nei panni dell'avversario". Chi ha ancora oggi il coraggio di farlo, e non solo in politica?sabato 20 settembre 2008
The Human Beast (L'Angelo del Male)
Ci sono film che vengono ricordati soprattutto per sequenze memorabili, che una volta viste sullo schermo difficilmente potranno essere dimenticate. The Human Beast (L'Angelo del Male nella versione italiana) di Jean Renoir è uno di quei film. E la sequenza in questione è quella del treno in corsa, all'inizio e alla fine della storia, che per una pellicola del 1938 è una ripresa non da poco. Aggiungeteci il dramma d'altri tempi, con una donna e un uomo (un grande Jean Gabin) pazzamente innamorati e disposti a tutto pur di suggellare questo loro amore, anche ad uccidere, e il gioco è fatto. Da qui il richiamo al titolo La bestia umana, ispirato all'omonimo romanzo di Emile Zola, dove sono gli istinti più profondi e nascosti dell'essere umano ad essere illuminati e scandagliati sotto l'occhio vigile del regista francese. Splendido bianco e nero, a far risaltare a futura memoria i volti indimenticabili di Jacques & Severine.
L'Atalante
Forse voi conoscerete questo film del 1934 diretto dal grande Jean Vigo (morto di tubercolosi a soli 29 anni) perchè una delle sequenze più celebri (vedi sotto) è stata adottata nella sigla del programma Fuori Orario condotto su RaiTre da Enrico Ghezzi. Questo film si chiama L'Atalante, ed è uno dei capolavori della Settima Arte per la sua capacità di fare autentica poesia con le immagini. La storia d'amore tra un giovane capitano e una ragazza di campagna per la prima volta, ore che si è sposata, lontana da casa e dalla famiglia contadina, diviene il simbolo di come una relazione possa infrangersi, anche solo per poco, contro gli scogli di una triste e ripetitiva quotidianità. Ma l'amore vince sempre, e l'indimenticabile sorriso di Dita Parlo ce lo ricorda ancora oggi in tutta la sua vivacità.
CentoChiodi
Classe 1931, 77 anni suonati, ma Ermanno Olmi ha ancora una lucidità intellettuale tutta da invidiare. Ne è prova lampante l'ultimo, poetico, e a tratti forse un po' troppo filosofeggiante, film dal titolo CentoChiodi. Protagonista è il sorprendente Raz Degan, nei panni di un giovane e affascinante professore di filosofia della religione, che decide di ferire a morte i suoi amati libri, letti e studiati per una vita intera ma mai veramente umani come magari avrebbe voluto. La sua verità è tanto scandalosa quanto poco, pochissimo politicamente corretta: cosa pensereste, infatti, se vi dicessero che "Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico"? Un film dal passo lento e dal sapore antico, ma con una carica eversiva capace di proiettarci in uno spazio e in un tempo dove dobbiamo per forza di cose affrontare le domande che Olmi ci ha perentoriamente posto.
The pursuit of Happyness
"Life, liberty and the pursuit of happiness" c'è scritto nella Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America. Vita, libertà e ricerca della felicità, come punti di riferimento immancabili per ogni cittadino americano. Dovrebbero essere dei diritti inalienabili, ma sappiamo come va il mondo, e lo sa anche il protagonista (realmente esistito) del film The pursuit of Happyness di Gabriele Muccino. Il debutto cinematografico oltre oceano del regista italiano non poteva andare meglio. Sarà stato il cast di attori davvero eccellente - su tutti Will Smith -, sarà stato l'appeal della storia (vera) di un padre di famiglia alla ricerca di quella felicità che solo un lavoro stabile poteva dargli, e sarà stata anche l'ambientazione in terra americana a dare quel qualcosa in più al film di Muccino, ma è certo che nè L'ultimo bacio nè Ricordati di me sono confrontabili con quest'ultima fatica del regista nostrano. Smielato quanto basta, ma almeno, e soprattutto, sincero.
venerdì 19 settembre 2008
Rambo
Rambo è sempre Rambo, come anche Sylvester Stallone che in Rambo, l'ultimo film della serie del grande personaggio reduce dal Vietnam, dà una bella interpretazione, anche se a volte un po' sopra le righe. Nelle scene di guerra più violente, infatti, il protagonista ci sembra più Terminator che Rambo stesso, e forse un pizzico di introspezione in più nel personaggio ci voleva. Ma quando poi assistiamo all'ultima scena (qui in basso) ci dimentichiamo delle varie imperfezioni e pensiamo soddisfatti: "Welcome home, Rambo".
Death Proof (A prova di morte)
In the Valley of Elah
The Happening (E venne il giorno)
giovedì 18 settembre 2008
L'Angelo Azzurro (The Blue Angel)
Incantesimo (Holiday)
La guerra lampo dei fratelli Marx
mercoledì 17 settembre 2008
La sottile linea d'ombra
di Paolo Massavenerdì 12 settembre 2008
The Dark Knight - Il Cavaliere Oscuro
di Paolo Massagiovedì 11 settembre 2008
mercoledì 10 settembre 2008
Se l'Amore è il contrario della Morte
Basta anche un piccolo racconto per provare quelle emozioni che non sempre un romanzo, nel succedersi delle sue centinaia di pagine, riesce a darci. Mi è capitato qualche giorno fa leggendo “Il contrario della morte” di Roberto Saviano, prima uscita della serie “Corti di Carta” pubblicata dal Corriere della Sera. L’autore di “Gomorra” qui ci parla di Maria, giovane “sposina inciampata prima di giungere all’altare”. Gaetano, infatti, suo promesso sposo, è morto tragicamente in Afghanistan nel compimento del proprio dovere di soldato. È morto in una guerra che Maria, e tante altre ragazzine della sua tenera età, orfane come lei di un affetto caro, non riescono a capire del tutto. E neanche la scuola sembra preoccuparsi poi tanto di colmare questa lacuna, perché come scrive Saviano “fra i ragazzini delle mie parti fra l’ultima guerra che conoscono e quella che insegnano a scuola ci sono strati e strati di altre guerre”. Come quella in Afghanistan per esempio. Tanto che ora, ci dice Roberto, “a partire militari ci proverebbero anche quelli senza una gamba. E se prima, durante gli anni dell’esercito di leva, migliaia di giovani si facevano riformare con inesistenti fistole anali o pagavano a peso d’oro un bicchiere di urine contaminate col sangue da presentare come certezza per essere scartati, questo, ora che esercito significa lavoro e stipendio, non vale più”. Resta così l’amarezza di una giovane donna orfana del suo sogno d’amore, che “troppe volte si è persa dietro ai ricordi, non riuscendo più a trovare il fiato per parlare, sentendosi soffocata da tutto quanto non è accaduto. Come un pesce tirato fuori dall’acquario. Strozzata dall’ossigeno”. Rimane solo il verso della canzone “Carmela” di Sergio Bruni – “se l’amore è il contrario della morte” – a cui Maria pensa per aggrapparsi a quel suo sogno d’amore che non è morto nella memoria. “Ascoltando Maria sussurrare quel verso”, scrive Saviano, “sembrava che mi avesse dato l’insegnamento che ero andato a cercare lontano, nel fondo dei barili di parole, nelle metafisiche dei teoremi filosofici, e che avevo invece lì, semplice e risolto. E ora ogni volta che non ne ho cognizione, ogni volta che non ne percepisco il senso, ricordo Maria mentre mi dice quante cose deve ancora conoscere di Gaetano e mi saluta sulla soglia di casa come se all’improvviso avesse fretta, e so bene qual è la verità dell’amore, quella che tutto il nostro essere ascolta e capisce: il contrario della morte”. Grazie Maria per avercelo ricordato.