Volete vedervi un film di un'attualità imbarazzante? Sto parlando di Man of the Year diretto da Barry Levinson (vi dice qualcosa Rain Man e Sleepers?) e intepretato alla grande da Robin Williams nei panni di un comico televisivo che, dopo essersi candidato a sorpresa alle elezioni presidenziali americane, riesce - però solo grazie ad un errore del sistema elettronico di voto, e a sua insaputa e di tutto il popolo a stelle e strisce - a diventare niente di meno che il nuovo Presidente degli Stati Uniti d'America. Un comico al potere, insomma. Ci credereste mai? E il film di Levinson, uscito nelle sale nel 2006, ma sarebbe stato perfetto in questi giorni di agguerrita campagna elettorale tra Obama e McCain, rende il tutto abbastanza credibile, anche se la storia perde un po' di smalto quando vira verso il genere thriller-cospirazionista. Ma alla fin fine, per chi volesse farsi due risate intelligenti, e sperare magari che un giorno una persona come Tom Dobbs possa davvero candidarsi, il film è altamente consigliato. Frase d'antologia: "I politici sono molto simili ai pannolini, devono essere cambiati spesso e per lo stesso motivo".
domenica 28 settembre 2008
Recount
mercoledì 24 settembre 2008
Redacted
Lisbon Story
Può il cinema far rivivere su pellicola e su schermo il segreto più profondo, e anche più inafferrabile, di una città? Dopo aver visto Lisbon Story di Wim Wenders siamo convinti proprio di sì. E non solo far rivivere l'essenza di un luogo, ma anche delle vite che uomini e donne trascorrono in quei luoghi. Questa perla cinematografica del regista tedesco è un film sul cinema, nella sua disperata ricerca di armonia tra le immagini e il sonoro su cui i due protagonisti stanno lavorando, ma allo stesso tempo è soprattutto un film sulla vita, con le domande, che immancabilmente ognuno di noi si pone, a fare da sfondo letterario alle meravigliose vedute di Lisbona. Possiamo dire, alla fin fine, che il cinema è capace di farci scoprire realtà intorno che non sempre riusciamo a scorgere? Lisbons Story ve lo saprà dire...
martedì 23 settembre 2008
I am Legend
domenica 21 settembre 2008
Thirteen Days
sabato 20 settembre 2008
The Human Beast (L'Angelo del Male)
Ci sono film che vengono ricordati soprattutto per sequenze memorabili, che una volta viste sullo schermo difficilmente potranno essere dimenticate. The Human Beast (L'Angelo del Male nella versione italiana) di Jean Renoir è uno di quei film. E la sequenza in questione è quella del treno in corsa, all'inizio e alla fine della storia, che per una pellicola del 1938 è una ripresa non da poco. Aggiungeteci il dramma d'altri tempi, con una donna e un uomo (un grande Jean Gabin) pazzamente innamorati e disposti a tutto pur di suggellare questo loro amore, anche ad uccidere, e il gioco è fatto. Da qui il richiamo al titolo La bestia umana, ispirato all'omonimo romanzo di Emile Zola, dove sono gli istinti più profondi e nascosti dell'essere umano ad essere illuminati e scandagliati sotto l'occhio vigile del regista francese. Splendido bianco e nero, a far risaltare a futura memoria i volti indimenticabili di Jacques & Severine.
L'Atalante
Forse voi conoscerete questo film del 1934 diretto dal grande Jean Vigo (morto di tubercolosi a soli 29 anni) perchè una delle sequenze più celebri (vedi sotto) è stata adottata nella sigla del programma Fuori Orario condotto su RaiTre da Enrico Ghezzi. Questo film si chiama L'Atalante, ed è uno dei capolavori della Settima Arte per la sua capacità di fare autentica poesia con le immagini. La storia d'amore tra un giovane capitano e una ragazza di campagna per la prima volta, ore che si è sposata, lontana da casa e dalla famiglia contadina, diviene il simbolo di come una relazione possa infrangersi, anche solo per poco, contro gli scogli di una triste e ripetitiva quotidianità. Ma l'amore vince sempre, e l'indimenticabile sorriso di Dita Parlo ce lo ricorda ancora oggi in tutta la sua vivacità.
CentoChiodi
Classe 1931, 77 anni suonati, ma Ermanno Olmi ha ancora una lucidità intellettuale tutta da invidiare. Ne è prova lampante l'ultimo, poetico, e a tratti forse un po' troppo filosofeggiante, film dal titolo CentoChiodi. Protagonista è il sorprendente Raz Degan, nei panni di un giovane e affascinante professore di filosofia della religione, che decide di ferire a morte i suoi amati libri, letti e studiati per una vita intera ma mai veramente umani come magari avrebbe voluto. La sua verità è tanto scandalosa quanto poco, pochissimo politicamente corretta: cosa pensereste, infatti, se vi dicessero che "Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico"? Un film dal passo lento e dal sapore antico, ma con una carica eversiva capace di proiettarci in uno spazio e in un tempo dove dobbiamo per forza di cose affrontare le domande che Olmi ci ha perentoriamente posto.
The pursuit of Happyness
"Life, liberty and the pursuit of happiness" c'è scritto nella Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America. Vita, libertà e ricerca della felicità, come punti di riferimento immancabili per ogni cittadino americano. Dovrebbero essere dei diritti inalienabili, ma sappiamo come va il mondo, e lo sa anche il protagonista (realmente esistito) del film The pursuit of Happyness di Gabriele Muccino. Il debutto cinematografico oltre oceano del regista italiano non poteva andare meglio. Sarà stato il cast di attori davvero eccellente - su tutti Will Smith -, sarà stato l'appeal della storia (vera) di un padre di famiglia alla ricerca di quella felicità che solo un lavoro stabile poteva dargli, e sarà stata anche l'ambientazione in terra americana a dare quel qualcosa in più al film di Muccino, ma è certo che nè L'ultimo bacio nè Ricordati di me sono confrontabili con quest'ultima fatica del regista nostrano. Smielato quanto basta, ma almeno, e soprattutto, sincero.
venerdì 19 settembre 2008
Rambo
Rambo è sempre Rambo, come anche Sylvester Stallone che in Rambo, l'ultimo film della serie del grande personaggio reduce dal Vietnam, dà una bella interpretazione, anche se a volte un po' sopra le righe. Nelle scene di guerra più violente, infatti, il protagonista ci sembra più Terminator che Rambo stesso, e forse un pizzico di introspezione in più nel personaggio ci voleva. Ma quando poi assistiamo all'ultima scena (qui in basso) ci dimentichiamo delle varie imperfezioni e pensiamo soddisfatti: "Welcome home, Rambo".